30 Gennaio 2016 - 00:46

Dalì, la surrealtà è un’esperienza virtuale

Il Museo Dalì di St. Petersburg offre un sogno: Dreams of Dalì è un’applicazione che regala l’incredibile esperienza di fluttuare, per mezzo di un viaggio virtuale, nella surrealtà di Reminiscenza archeologica dell’Angelus di Millet

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Il Museo Dalì di St. Petersburg, in Florida, ha messo in mostra Dreams of Dalí, che avvalendosi di un’applicazione, ideata da Sam Luchini e Roger Baran, catapulta lo spettatore sulla scena impressa dall’artista spagnolo. Da semplici osservatori possiamo ora trasformarci in astanti della Reminiscenza archeologica dell’Angelus di Millet. 

“Abbiamo immaginato che cosa sarebbe per una formica guardare queste enormi torri”, ha dichiarato Baran al sito Digital Trends. E così il postmodernismo e la distopia tra reale e virtuale, annunciati nel 1995 dal film Strange Days, ormai scandiscono sempre più in fretta il tempo che ci separa da fantascientifici futuri. 

Dalì : la surrealtà è un'esperienza virtualeReminiscenza archeologica dell’Angelus di Millet è un dipinto del 1935 di Salvador Dalì (1904-1989), un tributo, in chiave paranoico-critica, all’Angelus realizzato da Jean-François Millet tra il 1857 ed il 1859.

Dalì, che ha trasposto la visione onirica del Surrealismo in un delirio retorico, spesso impregnato di un’eloquenza sessuale, con un misticismo in bilico perenne tra sacro e profano, riprende i due contadini protagonisti del quadro di Millet nella metafora visiva di enormi sculture nel deserto, immerse in un’atmosfera crepuscolare.

Ne Il Mito Tragico dell’Angelus di Millet Dalì scriveva:

“Nel giugno 1932 si presenta d’improvviso al mio spirito, senza che alcun ricordo recente né associazione cosciente possa darne un’immediata spiegazione, l’immagine dell’Angelus di Millet […] Ne sono grandemente impressionato, grandemente turbato, perché nonostante che nella mia visione di tale immagine tutto corrisponda esattamente alle riproduzioni del quadro da me conosciute, essa mi “appare” nondimeno assolutamente modificata e carica di una tale intenzionalità latente che L’Angelus di Millet diventa d’improvviso per me l’opera pittorica più inquietante, più enigmatica, più densa, più ricca di pensieri inconsci che sia mai esistita”.

JEAN FRANÇOIS MILLET, Ángelus, Museo de Orsay, 1857

JEAN FRANÇOIS MILLET, Ángelus, Museo de Orsay, 1857

L’immagine dell’Angelus, per Dalì, diventa presto un’ossessione, che lo porta ad interrogarsi sulle possibili interpretazioni del quadro di Millet, soprattutto per la posizione dei due protagonisti è del tutto inusuale secondo l’iconografia classica. Per Dalì e il suo occhio storico-critico potrebbe trattarsi di due genitori contadini, che pregano sulla bara di un figlio morto. Ad avvalorare questa tesi, la scoperta dell’eccentrico artista spagnolo: una radiografia della tela fece affiorare che tra i due contadini vi sarebbe stata, nelle intenzioni iniziali di Millet, una figura rettangolare più volte ricoperta dal colore.

Lo sguardo paranoico-critico invece lo porta verso una ben diversa suggestione, in cui attribuisce alla donna caratteristiche aggressive, paragonandola ad una mantide religiosa, mentre l’uomo -secondo il complesso di Edipo, sviscerato da Freud – è un figlio che subisce la carica erotica materna. Ciò in Reminiscenza archeologica dell’Angelus di Millet viene reso graficamente dalle maggiori fattezze della figura femminile, che fisicamente sovrasta quella maschile.

Lo spaesamento metafisico del quadro è un preludio di sentimenti atavici, di quell’incontro – scontro sessuale che identifica il genere umano come quello animale. L’atteggiamento della contadina con le mani raccolte in preghiera sotto il mento fa scattare in Dalì l’associazione estetica con le pose stereotipate di alcune cartoline erotiche-crepuscolari: è quella una posa immobile, di attesa, che prelude all’ “aggressione sessuale imminente”.

Un’immagine che Dalì associa all’ossessione per la figura della donna-mantide religiosa e per il cruento pasto che segue il suo accoppiamento. La figura maschile è quindi quella che appare più debole, vulnerabile e sottomessa: “Soprattutto la figura dell’uomo era alterata dall’effetto meccanico dei tempi; di essa era rimasto poco più di un blocco indefinito, senza forma, un profilo, che incuteva paura”.

“La figura femminile – la madre – adotta la posa di aspettativa che abbiamo visto identificarsi con la posa spettrale della mantide religiosa, atteggiamento classico che serve da preliminare al crudele accoppiamento. Il maschio – il figlio – è soggiogato e come privo di vita per l’irresistibile influenza erotica; resta inchiodato alla terra, ipnotizzato dall’ esibizionismo spettrale della madre che lo annienta. La posizione del cappello, il cui simbolismo è fra i più noti e i più incontestabili del linguaggio dei sogni, denuncia lo stato di eccitazione sessuale del figlio e illustra l’atto stesso del coito; serve anche a definire un atteggiamento di vergogna nei confronti della virilità”.

L’esperienza virtuale di Reminiscenza archeologica dell’Angelus di Millet in 3D è un ameno viaggio nella sospesa poetica di un grande artista, avanguardista anche per il futuro più indefinito. Un lungimirante artista che ha dato vita all’onirico in chiave spasmodica e irreale, che ha immaginato qualcosa che oggi non sembra più così surreale.

Dreams of Dalì sarà “visitabile” fino al 12 giugno, per chi avrà la fortuna di andare in Florida.

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