28 Ottobre 2021 - 18:04

Il DDL Zan tra la giustezza del fine e la (parziale) inadeguatezza del mezzo

ddl zan

Di Luca Monaco (Avvocato penalista e Giornalista Pubblicista), in merito allo stop al DDL Zan

In Italia divampa lo scontro, non soltanto politico e tra i politici, dopo il voto di ieri al Senato sul DDL Zan che, di fatto, con l’approvazione della cosiddetta “tagliola”, rischia di appantanarsi definitivamente.

La dialettica sul punto non è delle migliori, incancrenitasi in una contrapposizione ideologica poco incline al confronto nel merito e più propesa alla delegittimazione, quando non all’insulto, del contraddittore.

Da una parte lo sdegno dei favorevoli alla legge, che tacciano di omofobia e fascismo finanche chi si limiti a osservazioni contrarie di natura tecnico-giuridica, dall’altra gli oppositori, gaudenti come se la propria squadra del cuore avesse vinto la finale di Champions League, che vaneggiano sullo scampato pericolo di una sorta di dittatura gay.

Sui social network sembra che nemmeno i rapporti di amicizia, colleganza, buon vicinato riescano a stemperare la virulenza della zuffa.

Il ragionamento e l’approfondimento critico delle questioni, ancora una volta, ha lasciato il passo al senso di appartenenza partitico e al tifo da stadio.

In fondo, è l’inevitabile conseguenza di un agone politico che, per gran parte, predilige le estremizzazioni o, per dirla forse più correttamente, le identificazioni forti, di cui le prime sono l’effetto più immediato e diretto.

Perché il DDL Zan è diventato la bandiera da sventolare sia per chi lo ha osteggiato che per quanti lo hanno invece proposto e sostenuto.

Per i primi è stata l’occasione per ergersi a difensori della libertà di espressione, additando implicitamente “gli altri” come pericolosi liberticidi; per i secondi, al netto dell’esito (probabilmente previsto o comunque prevedibile) del voto di ieri, rappresenta un tassello importante per serrare le proprie fila e trasformare il DDL Zan in una immaginifica linea di demarcazione tra chi è fascista e chi anti fascista, chi è buono e chi è cattivo.

Al netto delle suggestioni propalate dal fronte politico e delle diatribe ideologiche sui social, proviamo a focalizzare brevemente la nostra attenzione su alcuni punti del DDL Zan che forse meriterebbero una rivisitazione, concentrandoci sul profilo meramente giuridico, ma senza troppi tecnicismi e, soprattutto, senza pregiudizi, in un senso o nell’altro.

Innanzitutto, l’art. 1, ai fini dell’applicazione della legge, postula una nozione di identità di genere completamente svincolata dal dato biologico. In pratica, ciò che rileva è l’ “identificazione percepita e manifestata di sé in relazione al genere, anche se non corrispondente al sesso, indipendentemente dall’aver concluso un percorso di transizione”.

Tale passaggio, sia pure con finalità esclusivamente confinate nel solo e sacrosanto alveo della lotta alla discriminazione e alla violenza, rappresenta probabilmente la prima instillazione esplicita nel quadro normativo italiano di una dicotomia tra il sesso biologico e la percezione che una persona ha di sé.

Ma tale circostanza apre una breccia giuridica che rischia, almeno in astratto, di determinare un vulnus di non semplice soluzione sul piano della certezza del diritto, potendo costituire l’incipit normativo di una sua trasposizione in ogni ambito di regolamentazione, con le ovvie problematiche che ne conseguirebbero.

Ma l’aspetto più delicato attiene ai profili di incidenza penale che scaturiscono dal DDL, i quali, soprattutto per limiti costituzionali, non possono cedere il passo a incertezze o a pressapochismi normativi di sorta.

L’art. 4 del DDL Zan, infatti, dispone che “Ai fini della presente legge, sono fatte salve la libera espressione di convincimenti od opinione nonché le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee o alla libertà delle scelte, purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti”.

Innanzitutto, un simile enunciato è sintomatico di una volontà anticipatoria della soglia di punibilità, forse eccessiva, a una fase prodromica persino al mero pericolo: un pericolo del pericolo.

In secondo luogo, la norma contiene al suo interno una contraddizione concettuale di non poco conto: che vuol dire “salve………le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee o alla libertà delle scelte, purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti”?

Dal tenore letterale sembra che possano esistere anche condotte che siano invece contemporaneamente legittime e idonee a determinare discriminazione o violenza: un ossimoro.

Ciò che però rende maggiormente evidenti i limiti della formulazione del precetto, che sarebbe suscettibile probabilmente di finire pure sotto la scure della Corte Costituzionale, è la vaghezza concettuale, del tutto stridente con i principi di tipicità, tassatività e determinatezza delle norme penali.

Quali sarebbero, infatti, i criteri in base ai quali valutare l’idoneità di una opinione o di una condotta a determinare il pericolo di atti discriminatori o violenti?

E’ evidente che la scelta sarebbe del tutto demandata a una valutazione del Giudice che, in assenza di parametri oggettivi predefiniti dalla legge, dovrebbe ricorrere a criteri soggettivi, inevitabilmente ancorati alla propria coscienza, alle proprie idee e al proprio patrimonio valoriale e culturale.

Un risultato, quest’ultimo, evidentemente non accettabile, tanto sotto il profilo giuridico quanto da una prospettiva logica e di buon senso.

Allora, anziché impuntarsi su posizioni di bandiera, sia sul fronte dei sostenitori della legge che di quello dei suoi più strenui oppositori, sarebbe doveroso, oltre che opportuno, ragionare sulle sue criticità, che rappresentano tutt’affatto che banali dettagli, per porvi adeguato rimedio.

Perché il fine che deve perseguire la legge è sacrosanto, ma il mezzo per raggiungerlo impone un confronto serio, privo di anatemi, suggestioni, bandierine identitarie o successi da evocare e rivendicare.

Perché i diritti sono una cosa seria, ma il Diritto pure.