28 Febbraio 2017 - 13:20

Eutanasia, perché in Italia non viene riconosciuta?

eutanasia

L’eutanasia o il suicidio assistito sono diritti che vengono riconosciuti in molti Stati europei, eppure in Italia è ancora un reato. Perché?

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EUTANASIA – Di fronte a tematiche etico-morali così delicate, è chiaro che ciascuno di noi interpreta a proprio modo il concetto di morte e di vita. Bisogna dunque andare a fondo, spiegare nel modo più sensibile ma anche diretto, una vicenda che sta inevitabilmente mettendo in discussione le leggi adottate in Italia.

Partiamo dal presupposto che con il termine eutanasia si intende “buona morte”, e viene attuata nel momento in cui lo stato fisico o mentale di un individuo non è più ritenuto idoneo a sostenere uno stile di vita accettabile o quanto meno dignitoso. Questo tipo di procedimento può essere chiesto sia dal paziente stesso sia dai familiari.

In molti Paesi europei, tra cui Spagna, Olanda, Germania, Gran Bretagna, Svizzera, Belgio, Svezia, in modi diversi è stata approvata e riconosciuta la pratica dell’eutanasia o del suicidio assistito (l’aiuto medico e amministrativo portato a un soggetto che ha deciso di morire tramite suicidio), ma in Italia è considerato un reato.

Perché nel nostro paese non è riconosciuto?

Di fronte a questa domanda possiamo trovare varie risposte, risposte che si collegano a concetti prettamente personali e che non riescono ad identificare la pratica della ” buona morte” come una pratica lecita. Le motivazioni che “giustificano” il mancato utilizzo di questo metodo sono molteplici:

La morale – per le convinzioni personali di alcune persone, l’eutanasia di alcuni o di tutti i tipi può essere moralmente inaccettabile. Questa visione morale di solito vede l’eutanasia come un tipo di omicidio e l’eutanasia volontaria come un tipo di suicidio, la moralità del quale è oggetto di vivo dibattito.

Teologica – diverse religioni e moderne interpretazioni religiose considerano sia l’eutanasia che il suicidio come atti “peccaminosi”.

Desideri della famiglia – i membri della famiglia potrebbero desiderare di passare più tempo possibile col proprio caro prima che muoia; in alcuni casi, però, questo si può tradurre disfunzionalmente in una forma di incapacità di accettazione dell’inevitabilità del decesso.

Qui però ci sarebbe da porsi una domanda: “La morale, la religione e l’egoismo familiare, sono giustificazioni accettabili per ostacolare l’approvazione di una legge che riconosca a ciascuno di noi la libertà di decidere della propria vita?”

Ci sarebbe da chiedersi fino a che punto ci si possa arrogare il diritto, in nome di proprie discutibili convinzioni, di limitare la libertà altrui, il legittimo desiderio di scegliere per se stessi una morte dignitosa rispetto a quella che, più che vita, può definirsi dolorosa sopravvivenza.

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