13 Gennaio 2016 - 00:26

Fargo 2, The Gift of the Magi – Recensione

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Indossare la normalità è una responsabilità. Così come il rosso che si contrappone sempre alle tonalità del blu: colori freddi che lottano con il colore caldo. È la guerra di Fargo, oggi dal titolo The Gift of the Magi

[ads1]Ohanzee torna alla base, casa Gerhardt, ivi parla del probabile assassino di Rye. “Il macellaio” si è macchiato del sangue del fratello di Dodd e, quest’ultimo ne approfitta per mescolare le carte a sui favore. Ohanzee e Dodd, infatti, convincono Floyd Gerhardt che il macellaio sia un affiliato della mafia di Kansas City. The Gift of the Magi porta in dono una prima strage della guerra tra mafie nella quale perde la vita anche il mediatore di Kansas City, Joe Bulo, mentre Ronald Reagan dispensa parole belle pregne di retorica.

Nel frattempo i Blumquist decidono cosa fare, Ed vuole restare e risolvere tutto, mentre Peggy vuole andare via e ricominciare tutto da capo.

A infittire la trama ci pensa la figlia di Dodd, Simone, la quale pare avere una relazione con Mike Milligan, il quale a sua volta chiede alla ragazza di avere in anticipo le notizie delle decisioni della famiglia Gerhardt.

Dodd, inoltre, invia Virgil, un uomo di fiducia, a uccidere Ed. Ad accompagnarlo vi è anche Charlie, il figlio di Bear Gerhardt. Giunti alla macelleria però ci sono delle complicazioni e le cose non vanno secondo i piani.

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Fargo 2, The Gift of the Magi

La guerra è cominciata, e si consuma tra due mondi: mentre si maciullano tra loro i primitivi Gerhardt e la mafia del Kansas City, Reagan è il protagonista del montaggio parallelo, in cui esprime i valori dell’America in vista di un futuro florido e trionfante. Nel montaggio parallelo c’è una corrispondenza semantica e di contenuto, perché è iscritto nel linguaggio filmico che il parallelismo deve mettere in comunicazione e/o in conflitto le due parti.

Reagan e la guerra hanno un legame tra loro. In questa guerra però, il male spaventa anche a chi la sta perpetuando.

Gerhardt sono la crisi della famiglia, sistema sul quale dovrebbe sempre basarsi la società americana (come proferisce Reagan nel suo discorso); lo stesso è per l’istituzione, tramutata in mafia, e infine, è la crisi della religione.

I tre pilastri della cultura americana, secondo il pensiero politico di Reagan, si stanno sgretolando a partire dall’archetipo, Fargo, e hanno ormai perso valore (validità) anche all’interno della società, il Minnesota.

The Gift of the Magi è come un western che insegna quanto il passaggio alla civiltà, quella americana conquistata con il sangue, rappresenti solo un movimento verso il declino dell’uomo conforme e convenzionale. Il personaggio chiave, da cui scaturisce il senso di frustrazione e paradosso dell’umanità, è il marito di Peggy: incapace di guardare oltre quella macelleria, oltre i figli e la famiglia, sopporta i sensi di colpa pur di realizzare il sogno americano.

Il sogno americano è dunque l’obiettivo di un uomo che, però, non ha gli stessi mezzi di altre classi sociali; ma siccome raggiungere l’obiettivo, in America, è più importante del modo in cui lo si persegue, allora anche uccidere è solo un pezzo del puzzle.

(Anche) Questa volta, la normalità si è scontrata, involontariamente, con la guerra: il conflitto interno tra famiglia Gerhardt e Mafia, è come un duello in un classico western (anche alcune inquadrature, tagli di luce e fotografia lo rivelano), attraverso il quale codificare uno status sociale legittimo, in quanto fondato nella sconfitta totale, ma feroce, dell’altro.

gift La debolezza del sistema familiare scaturisce da un sistema piccolo e chiuso, non aperto agli stimoli esterni, soffocato dalla legge della sopravvivenza del nome nella storia dell’umanità.

Le istituzioni mafiose sono emblema di una corruzione che, anche fuori dal mondo intimo, si radicano in ogni dove pur di prendere il sopravvento nell’andamento economico e politico della società.

Infine la religione.

C’è dimensione spirituale in un Minnesota che sparge sangue per liberarsi degli errori, delle frustrazioni, delle delusioni, dell’amarezza, dell’incapacità di affermarsi? C’è religione in una ragazza che legge libri deprimenti pur di contemplare la morte come uscire dal mondo in cui si sente in trappola?

La normalità che indossa Ed si rispecchia anche nella noia e nella rassegnazione della cassiera di quella macelleria che dovrebbe garantire il futuro di una famiglia che non esiste, fondata su un amore finto e convenzionale, provocando continui scatti di fuga che non avvengono mai. Quella normalità di Ed però, è anche la crisi della virilità.

Gli uomini, in Fargo 2, sono l’elemento debole: una diaspora di esseri sperduti nell’amoralità. Le donne invece, sono il rosso. Spesso si contrappongono al freddo del Minnesota, per mettersi in conflitto con gli uomini riflesso del gelido luogo in cui lottano.

Il rosso delle donne (indossato da tutte almeno una volta nelle puntate già viste fino a The Gift of the Magi), contiene la stessa responsabilità della normalità di Ed: se nel sogno americano c’è il riscatto sociale e la felicità, nel rosso c’è senso materno e ribellione, creazione di un mondo nuovo, rinnovato dalla forza femminile che s’innamora del nemico e si prende cura del più debole.

Infine, il rosso e il blu sono due colori che si alternano nella cravatta di Reagan, creando un movimento dialettico e armonico: sono i colori della bandiera americana, che in Fargo si escludono e si compenetrano vicendevolmente.

A cura di Annarita Cavaliere e Carlo Del Regno [ads2]