6 Dicembre 2018 - 09:50

Ricordando Gian Maria Volonté: il monologo del “dottore”

Gian Maria Volonté

Il 6 dicembre 1994 si spegneva Gian Maria Volonté. ZONmovie lo ricorda attraverso una delle sue migliori interpretazioni: “il monologo del dottore”

Simbolo del cinema civile, attore poliedrico, ha sempre scelto di fare film coraggiosi, controcorrente, pellicole in grado di squarciare lo schermo aprendo orizzonti di senso. 24 anni fa si spegneva Gian Maria Volonté e, in occasione dell’anniversario della sua morte, scegliamo di ricordarlo riproponendo l’analisi di una celebre scena tratta dal film Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto: “il monologo del dottore”.

Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto compone una trilogia con “La classe operaia va in paradiso” e “La proprietà non è più un furto” che vide la collaborazione per la sceneggiatura e l’ideazione della trama narrativa tra Elio Petri e Ugo Pirro. I due erano legati da una comune esigenza: raccontare le trasformazioni in atto della società italiana tra la fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’70 e lo scontro di classe nelle sue diverse manifestazioni.

La messa in scena di un delitto

La pellicola, sin dalla prima sequenza, mostra  l’esecuzione e la messa in scena di un delitto, ma a quale scopo? Questo il dilemma iniziale che colpisce lo spettatore. Un uomo entra in un palazzo antico ed elegante nel centro di Roma, ha un appuntamento con la sua amante. Durante un rapporto sessuale l’uomo uccide la donna, si riveste e poi inizia lasciare con estrema cura tracce della sua presenza sulla scena del delitto.

Il giallo ci svela immediatamente che l’omicida è parte attiva dell’indagine sulla morte della vittima, Augusta Terzi, (Florinda Bolkan) poiché l’assassino è il Commissario di Polizia (Gian Maria Volonté) che durante il film sarà chiamato da tutti “il dottore”. Il protagonista, dunque, è poliziotto e al contempo criminale. Il “dottore” vuole sfidare se stesso e gli altri, per dimostrare al di là di ogni dubbio, che un commissario di polizia non è mai sospettabile né veramente colpevole, qualunque cosa faccia e che, alla fine, comunque, la sua funzione di difensore dell’ordine peserà sulla bilancia dell’utilità sociale più di qualsiasi delitto.

Il monologo del “dottore”

L’omicidio avviene nello stesso giorno in cui il Commissario da Capo della squadra omicidi viene nominato responsabile dell’ufficio politico. Il protagonista, in occasione della promozione, pronuncia un discorso a difesa dei valori dell’autorità e del potere, valori derisi dal regista attraverso una satira sottile e l’enfatizzazione di tratti fisici e psicologici del protagonista (tic verbali, intonazione dialettale ai limiti del grottesco, smorfie facciali). L’abilità di Gian Maria Volonté risiede nel restituire l’esatta immagine auspicata da Petri.

“Da oggi assumo la direzione dell’ufficio politico. […] Ciò è stato deciso poiché tra i reati comuni e i reati politici sempre più si assottigliano le distinzioni, che tendono addirittura a scomparire. Questo scrivetevelo bene nella memoria: sotto ogni criminale può nascondersi un sovversivo; sotto ogni sovversivo può nascondersi un criminale“.

Luoghi comuni, linguaggio burocratico e “statale” espresso con un accento dialettale. L’esercizio del potere diviene un’azione sistemica di controllo delle masse sempre più indistinte, grazie ad una voluta confusione e distruzione del confine che separa ciò che è legale da ciò che è perseguibile.  Alternando toni che variano dall’alto al basso accompagnati dalla mimica facciale e dai gesti delle braccia prosegue un discorso di stampo autoritario a difesa dell’ordine costituito. Il richiamo all’ordine e alla necessità della soppressione degli oppositori riecheggia i “valori” promossi durante il regime fascista.

“Noi siamo a guardia della legge che vogliamo scolpita nel tempo… Il popolo è minorenne. La città è malata. Ad altri spetta il compito di curare ed educare. A noi il dovere di reprimere. La repressione è il nostro vaccino! Repressione è civiltà!“.

Il tentativo è quello di legittimare l’esercizio del potere, da parte di coloro che Petri definisce “i servi del potere”, attraverso l’uso della coercizione, dell’intimidazione e la convinzione dell’essere al di sopra della legge; una superiorità che vale per i suoi servitori e non per il popolo. L’arroganza che traspare dal monologo del dottore non è altro che lo specchio dell’esercizio quotidiano della sopraffazione che travalica le regole, assottiglia  i confini tra bene e male ed evidenzia il gioco e la farsa del potere.