3 Giugno 2018 - 15:46

Il Maestro e Margherita, quella scala da Paradiso a Inferno e il diavolo in una battuta

Il Maestro e Margherita, il romanzo di Bulgakov che dovrebbe essere annoverato fra i classici ma che la scuola snobba. Se il diavolo è nell’ironia ed è più umano di quel che si pensa

Il Maestro e Margherita è uno di quei libri “da leggere”, ma generalmente tenuti fuori da qualsiasi lista di questo tipo. Andate da un professore, in una scuola qualsiasi, e nessuna delle persone sedute dietro la cattedra citerà quest’opera come un classico che bisogna conoscere necessariamente. Però lo è, non per ciò che si potrebbe pensare.

Tanto per iniziare, se la Bibbia è stato il primo libro stampato in Europa e il più venduto al mondo, il romanzo di Bulgakov sembra la naturale, ironica ed intrigante continuazione e nemesi. L’opera intreccia la vicenda di un sedicente professore piombato a Mosca, che è in realtà il diavolo, e quella di Pilato, intento a decidere se salvare Gesù o Barabba.

L’umanità del diavolo che Bulgakov conosceva

Alla prima lettura, non si capisce bene cosa si ha davanti. Quel che si sa è che si sta leggendo qualcosa di estremamente elegante, sagace ed intelligente (giusto perché Bulgakov non è l’ultimo arrivato e grazie tante). La delicatezza del suo lessico non chiude la strada ad un’ironia pungente. Che si ha a che fare col diavolo lo si capisce quasi subito, ma chissà perché non ci si sbilancia durante la lettura. Un po’ ci si spera che quel personaggio così divertente e simpaticamente spietato non sia proprio il diavolo, perché ammettere che faccia ridere è difficile. Bulgakov ricalca probabilmente un disegno talmente ovvio da esser quasi sempre invisibile: il diavolo ha lingua biforcuta, mente intrigante e battute sottili. 

Il diavolo è divertente e promette cose senza chiedere (troppo) in cambio. E’ lui a realizzare il più grande desiderio di Margherita, che chiederà di poter ritrovare il Maestro, l’uomo con cui ha la tenera storia d’amore che fa da sfondo a tutto il romanzo. E l’altra importante lezione è che l’amore è uno strumento dell’inferno, in qualche modo, delicato e spinato come solo una cosa pensata dal diavolo e gestita dagli umani può essere. L’amore non è celeste, il potere invece sì. Se Dio è il signore del cielo, capace di prender le decisioni giuste per un mondo che gira sul suo dito indice, se Gesù è solo un’altra trascurabile vittima di un disegno che è corretto per definizione, Pilato è un giudice triste. Prende decisioni che qualcun altro ha già fatto per lui, consapevole comunque di non aver fatto ciò che giustizia terrena vorrebbe, perché scegliere è facoltà solo di un Dio che in ogni caso i nostri personaggi non sembrano sentire.

Tutte le vicende intrise di magia, rendono inoltre il pensiero materialista e realista della Russia della Rivoluzione totalmente inadeguato alla volontà di comprensione dei fenomeni soprannaturali del romanzo. Bulgakov scrive dunque un romanzo che è una scala in legno che parte dal paradiso, passa per la nostra Terra e arriva all’ultimo piano dell’Inferno, per farci vedere che tutto alla fine passa per una storia, che forse il concetto di eterno è più umano di quel che pensiamo, che il diavolo sta nell’ironia e sentirsi in colpa è inutile, totalmente inutile.

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