Il Padre d’Italia, genitorialità e prospettive in un paese senza futuro
Il Padre d’Italia, dal 9 marzo nelle sale cinematografiche italiane, è in parte un road movie, in parte un racconto personale e sociologico sul presente di una generazione privata del futuro
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Il Padre d’Italia è un titolo che sembra annunciare un film patriottico, in realtà si parla di paternità e maternità in Italia: non per forza un manifesto ideologico in difesa della genitorialità omosessuale o single, ma di sicuro un’attestazione di una realtà combattuta, in una nazione in crisi da diversi punti di vista.
In parte un road movie, in parte un racconto personale e sociologico sulla nostra generazione, questo lungometraggio di Fabio Mollo è ambientato in Italia e nel suo presente senza futuro.
Il film sembra celare un latente omaggio cinematografico ad Ettore Scola e alla trama di Una giornata particolare, come nella scena sulla terrazza, tra lo svolazzare dei panni stesi ad asciugare.
A Torino vive Paolo, un trentenne che sognava di diventare architetto e che invece si ritrova a lavorare come commesso in uno store di arredamento preconfezionato.
In cerca di Mario, il suo ex-compagno, che lo ha lasciato per rincorrere una vita “preconfezionata” insieme ad un altro uomo, in un locale gay incontra Mia, problematica e sconclusionata coetanea al sesto mese di gravidanza, incinta di un uomo che non fa parte della sua vita.
Paolo è un introverso e accetta il suo essere omosessuale, ma non ciò che l’omosessualità comporta in questa società; al contrario Mia è esuberante, ma anche lei sembra solo accettare la sua gravidanza ma non ciò che comporterà.
Nei rispettivi personaggi, due credibilissimi e generazionali, Luca Marinelli e Isabella Ragonese: lui è la promessa del cinema italiano, da “Non Essere Cattivo” di Claudio Caligari e “La solitudine dei numeri primi”, reduce dal più recente e inaspettato successo di “Lo chiamavano Jeeg Robot”, ora impegnato in “Principe Libero”, biopic su Fabrizio De André.
Dopo il loro incontro casuale, Paolo e Mia, nonostante le differenze caratteriali, intraprendono un lungo viaggio su un furgone verso il Sud d’Italia, alla ricerca del padre del futuro nascituro.
Il viaggio diventa la metafora della scoperta reciproca ma innanzitutto di se stessi, del progressivo svuotarsi dalle proprie sovrastrutture, dai ricatti affettivi, dalle convenzioni e dalle costrizioni sociali.
Essere genitore è qualcosa di istintivo e naturale, quanto il decidere di non esserlo. Naturale pensarsi genitori anche se non si è eterosessuali, innaturale pensare, invece, di mettere su famiglia in un paese che non ha nulla da offrire, che boicotta il futuro dei suoi stessi figli. Ogni pensiero allora diventa contro natura solo perché si è in Italia.
Il Padre d’Italia racconta il bisogno e la paura di cosa comporta il diventare adulti: odierne dinamiche umane particolarmente esasperate in Italia, il Paese immobile, paralizzato nel passato.
Eppure, a dispetto dell’amarezza – sublimata da Nothing Arrived dei Villagers, parte della colonna sonora – di cui è permeato il film, Il Padre d’Italia mantiene una sua leggerezza e una sua speranza poetica intrinseca all’esistenza, come possibilità e presenza. Siamo qui e ora, e comunque vada l’importante è provare ad essere se stessi, a realizzare i propri sogni, nonostante tutto e tutti. Tentare ancora, senza lasciarsi scoraggiare dalle evidenze.
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