(In) Ricordo di Lucio Fulci
Ottantotto anni fa nasceva Lucio Fulci, regista romano dimenticato da alcuni ma celebrato nel mondo, che aveva iniziato con film comici, dedicandosi poi ai gialli, nel tempo sempre più intrisi di erotismo e macabri delitti. Alla fine degli anni settanta approdò al genere horror, divenendo un maestro del gore
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Lucio Fulci (17 giugno 1927 – 13 marzo 1996), dissacrava i generi nella loro classica struttura, inserendovi temi e stili personali, cercando di provocare, di scioccare o di divertire i suoi spettatori: “… tento sempre di uscire dal genere, tento di essere un terrorista del genere. Sto dentro, ma ogni tanto metto la bomba che tenta di far deflagrare il genere”. Le tematiche a lui care erano la repressione religiosa, il peccato, il dubbio, il doppio, la sessualità e la diversità il tutto condito da un personale stile sarcastico ed onirico. Noto per i suoi primissimi piani sugli occhi, per evidenziare le emozioni e lo stato psicologico dei suoi protagonisti, la scena più citata di Fulci è quella della perforazione dell’occhio, rimando a Buñuel: “L’occhio frustrato, traviato, distrutto, per me significa anche perdita della ragione. L’occhio è un preciso riferimento surrealista e dadaista”. Fulci fu il primo regista italiano a trattare con estremo realismo la morte e a cimentarsi nei suoi horror con scene splatter. Sagace conversatore, il padre del gore made in Italy fu anche il paroliere di alcuni successi di Adriano Celentano e autore di racconti brevi.
Nel 1969 Fulci diresse il suo primo giallo Una sull’altra, ispirato a La donna che visse due volte di Alfred Hitchcock, accentuando il carattere erotico insito alla storia in scene molto spinte per il pubblico italiano di allora. Nello stesso anno Fulci si dedicò a Beatrice Cenci, dramma storico sulla nobildonna romana giustiziata nel 1599, ostracizzato da pretenziose critiche. Il 1969 fu anche un anno tragico per il regista romano: sua moglie si suicidò per una diagnosi errata di un tumore.
Nel 1971 Fulci diresse Una lucertola con la pelle di donna con Florinda Bolkan, un giallo che virava verso scelte di diverso genere, quello gore, con tratti violenti, erotici ed onirici. Fulci era approdato al giallo italiano, ponendosi come rivale naturale di Dario Argento, ma distinguendosi sempre per lo stile personale, per la chiave di lettura cupa ed onirica.
Nel 1972 esce Non si sevizia un paperino, il primo film realizzato da Medusa Film, con Florinda Bolkan, Thomas Milian e Barbara Bouchet. Per questi inquietante e morboso giallo Fulci si era ispirato ad un fatto vero: a Bitonto nel 1971 ci fu una serie di delitti di bambini. Fu però deciso di ambientare la storia nel paese immaginario di Accendura, adattato da Accettura, paese in provincia di Matera: “Si svolge in mezzo ai poveracci, in un paesaccio”, asseriva Fulci parlando del film. Il film, primo giallo ambientato nella miseria e nell’arretratezza di un paesino meridionale, si apre con una donna che scava una piccola fossa ai margini di un’autostrada, da cui estrae il cadavere di un neonato. Questa donna, la “maciara” come viene soprannominata localmente, interpretata da Florinda Bolkan, compie una serie di riti voodoo trafiggendo con alcuni spilloni delle bambole ritraenti dei bambini. Intanto in paese Tonino, Michele e Bruno, ragazzini voyeur, via via scompaiono, poi il ritrovamento dei cadaveri.
Alla notizia delle sparizioni accorre un giornalista di cronaca nera, Andrea Martelli, figura focale della storia. Il titolo del film infatti viene spiegato proprio da una sua azione: Martelli posiziona la testa di un paperino di gomma accanto al cadavere di uno dei bambini uccisi, per ottenerne una foto ad effetto.
Riguardo al titolo, in lavorazione era Non si sevizia paperino, ma la Disney si oppose e impose l’articolo: ma sulle locandine l’articolo “un” appare con un carattere scuro o velato, che si confonde con lo sfondo nero. Uscito il 29 settembre 1972, riscuotendo un buon successo di pubblico, il film fu vietato ai minori di 18 anni, poiché cruento. Ci furono anche problemi legali anche per la sequenza in cui Barbara Bouchet si mostra nuda davanti al bambino: Fulci spiegò che il bambino era ripreso frontalmente in assenza dell’attrice, mentre i controcampi di spalle erano stati interpretati da Domenico Semeraro, diventato in seguito noto con l’appellativo “nano di Termini”, ovvero la vittima di un omicidio che ha ispirato Garrone per L’imbalsamatore.
La scena più nota di Non si sevizia un paperino è quella della Maciara lapidata dai padri dei bambini scomparsi: una scena che ha creato un precedente per l’accostamento ad una scena profondamente violenta di una canzone romantica, Quei giorni insieme a te cantata da Ornella Vanoni, rimasta indelebilmente legata al film.
Il 1977 fu l’anno di Sette note in nero, un film intriso di aspetti onirici e psicologici, girato con parsimonia di particolari cruenti ma con di raffinato gusto tecnico, cosa che conferì la massima suspense fino agli ultimi secondi della pellicola.
In quegli anni Fulci provò anche il genere fantasy con film come Conquest: questa virata rappresentò il passaggio al genere horror. La svolta definitiva per il regista arrivò nel 1979, quando fu chiamato a dirigere Zombi 2, sequel di Zombi di George Romero. Zombi 2 ebbe il tocco personale del maestro italiano dello splatter, che segnò il cinema a venire con la scena della perforazione dell’occhio di Olga Karlatos.
Da quel momento in poi il regista diresse in gran parte film horror, come Paura nella città dei morti viventi, …E tu vivrai nel terrore! L’aldilà e Quella villa accanto al cimitero. Anche nell’horror Fulci scardinò le regole del genere prediligendo trame a tratti surreali, elementi senza alcuna spiegazione logica e i suoi soliti finali aperti o circolari, venati di un macabro sarcasmo.
Dopo aver diretto il giallo Murderock – Uccide a passo di danza (1984), che riscosse un gran successo di pubblico all’estero, un’improvvisa malattia allontanò Lucio Fulci dai set cinematografici. A distanza di due anni, il suo ritorno dietro la macchina da presa, fu segnato da budget ridotto, scene girate in condizioni proibitive e attori incapaci di sostenere il ruolo. La lungimiranza di Fulci però non si era arenata e nel pensare a Zombi 3, aveva proposto una versione in 3D, da intitolarsi Zombi 3D: il progetto però fu abbandonato per gli alti costi e il regista fu costretto ad abbandonare le riprese per questioni di salute.
Tra gli ultimi film il bagliore del cult movie Un gatto nel cervello del 1990, in cui Fulci interpreta se stesso in preda agli incubi causati dai suoi stessi film. Va ricordato anche il suo film-testamento, Le porte del silenzio (1991), uno dei meno violenti della sua filmografia che lascia spazio ad una riflessione esistenziale sulla morte.
Gli ultimi anni furono ingloriosi anche per uno abituato da sempre a scalciare nel sistema cinematografico italiano. I rapporti tra Fulci e la critica cinematografica infatti non furono mai facili: veniva considerato un regista di B-movie, mentre i suoi horror erano liquidati come prodotti di “disonestà nell’impiego della suspense, abuso dei particolari orripilanti, sadomasochismo a piene mani, recitazione a ruota libera, disprezzo della logica” (Morando Morandini). Fin dalle prime pellicole la critica si dimostrò prevenuta nei suoi confronti; diverso invece fu il rapporto con i critici esteri, soprattutto francesi, che videro in lui un autore radicale e molto personale. In Italia i suoi film sono stati rivalutati solo in anni recenti grazie a riviste di genere quali Nocturno, Amarcord e Cine ’70, che hanno divulgato la sua opera come cult del genere splatter. Lucio Fulci è inoltre stato omaggiato più volte da registi stranieri: Sam Raimi nel 2002 in Spiderman ha usato il fotogramma della tarantola de L’aldilà (1981); mentre il devoto Tarantino ne ha fatto diverse citazioni, le più eclatanti sono in Kill Bill vol. 1, in cui il risveglio di Uma Thurman dal coma è accompagnato dalla musica di Sette note in nero o dall’episodio da lui diretto nel 2005 per la serie CSI, in cui un personaggio ha una T-shirt con la scritta Lucio Fulci Godfather of Gore.
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