Ingrao, il centenario dubbioso
Pietro Ingrao, per chi non lo conoscesse, è uno statista comunista italiano, nato in provincia di Latina il 30 marzo del 1915. Oggi compie 100 anni, anni trascorsi nell’elogio del dubbio pensando di avversare una stantia retorica comunista
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Ingrao ha avuto un trascorso da eretico: un comunista di estrazione borghese che mosse i suoi primi passi nel Fascismo, quell‘ingenuo «fascismo di sinistra» (di cui scrive anche Vittorini ne Il Garofano Rosso), forse travisando i principi rivoluzionari di un mal perseguito socialismo. Poi il punto di svolta nella sua vita ideologica, la guerra civile spagnola, per cui Ingrao intraprese il “sentiero rosso”: «Il 17 luglio 1936 è un giorno chiave: esplode la rivolta franchista. Da allora, la lotta di classe diventò il punto centrale nella mia vita, il primo dovere, la prima speranza».
Con l’instaurazione della Repubblica, Ingrao venne eletto in Parlamento, entrando nella segreteria del PCI e ottenendo la direzione de “L’Unità” per un decennio. Nel 1976 Pietro Ingrao è il primo comunista eletto alla presidenza della Camera, un traguardo inimmaginabile che agitò nel suo animo ricordi rivoluzionari: «Mi portavo dentro la convinzione di un momento insurrezionale risolutivo. Forse agiva anche il ricordo mitico dell’assalto al Palazzo d’Inverno tramandatoci dall’epica della rivoluzione bolscevica. E negli angoli remoti della mia mente restava sempre ben fissa l’ipotesi del momento in cui ci saremmo trovati – l’uno di fronte all’altro – noi rivoluzionari e le truppe del grande capitale».
Di sicuro Ingrao è un personaggio politico controverso poiché umanamente e politicamente dedito al dubbio, a quella relatività che dovrebbe essere legge esistenziale. Era il 1966 quando un Ingrao dubbioso cercava per la prima volta di far chiarezza sul suo punto di vista: “Il dubbio mi scuoteva. Vedevo in esso un’apertura alla complessità della vita: dubitare mi sembrava l’impulso primo a cercare, aprirsi al molteplice del mondo. Sì, vivevo il piacere del dubbio”. Era solo il principio di una drammatica contraddizione, che lo ha visto interiormente diviso tra la costruzione di uno Stato democratico e l’ideologia disattesa di una crisi rivoluzionaria.
Un comunista dubbioso, che spesso ha deciso di sedersi dalla parte sbagliata della Storia. Per questo è stato sempre guardato con sospetto dai compagni di Partito, soprattutto da Enrico Berlinguer. Infatti Sergio Maldini scriveva sul Carlino: «Di fatto, Ingrao parla bene, e il suo linguaggio è il linguaggio di un marxista di ordine alto. Non sospetta minimamente che gli altri possano non capirlo».
In continua rivolta interna, alla ricerca di un proprio e personale pensiero coerente con la fedeltà alla linea, Ingrao ha avuto momenti di lucidità storica notevoli, riuscendo ad essere oggettivamente critico, nonostante la propria ideologia: «Lo stalinismo è stato un errore così grande che è bene ribadirne il rigetto». Eppure questa frase resterà totalmente disattesa nei fatti. Ben presto il filosovietismo riaffiorò, o forse era così radicato da sovvertire le sue azioni, e nel 1956 scrisse una delle pagine più controverse della sua carriera, forse semplicemente perché quella volta Ingrao non dubitò. La rivoluzione ungherese contro l’oppressione sovietica lo pose in controtendenza alla più saggia reazione della sinistra europea, che sosteneva i diritti ungheresi. Una piccola ribellione allora ci fu anche italiana: Italo Calvino e altri intellettuali abbandonarono il PCI. L’ultima ed ennesima rivendicazione del beneficio del dubbio in Ingrao è del 2013, quando ha dichiarato, dopo un’iniziale sostegno a Rifondazione Comunista, di votare SEL – Sinistra, Ecologia e Libertà.
D’altronde Leopardi ne Lo Zibaldone (Zibaldone di Pensieri) così si pronunciava: «La nostra ragione non può assolutamente trovare il vero se non dubitando; ella si allontana dal vero ogni volta che giudica con certezza; e non solo il dubbio giova a scoprire il vero, ma il vero consiste essenzialmente nel dubbio, e chi dubita sa, e sa il più che si possa sapere».
È questa la ragione d’essere del dubbio, quella che permette di porsi in maniera critica alla politica, ai propri principi come alla vita e ai suoi eventi: la strada intrapresa nel nome di un più alto e puro ideale non dovrebbe mai cedere a qualcosa che inserito in un partito si ratifica agli stipendi e alle poltrone. Ma da quando su Marx pende la taglia dell’abnegazione e del capitalismo più saturo, la necessità dell’esserci comunque, del materialismo che affossa ogni principio, ha sopito ogni spirito critico e ucciso ogni ideologia: in Parlamento i compagni sono divenuti panciuti borghesi o dei Pippo Civati.
E chi nell’ideologia ci crede, ma ormai fa fatica a credere alla sua trasposizione partitica, oggi quasi rimpiange il savio dubbio nato con Ingrao tra le fila del PCI, che, nell’insofferente ingerenza al centralismo democratico, aveva rivendicato il “diritto al dissenso”: sembrò allora l’affermazione di un no ad una fede cieca e ad un partito e alla sua linea, un no all’ideologia comunista priva del suo senso pratico, che proprio nella sua continua ricerca di dissenso a sé stessa poteva rappresentare un’utopica attuazione.
Pietro Ingrao, deputato fino al 1992, eclissandosi dalla scena politica, ma coltivando la sua passione poetica, ha poi scritto una sua biografia: “Volevo la luna”. E in sottofondo una pellicola in bianco e nero, gente in rivolta sulla gigantesca Scalinata Potëmkin, mentre una carrozzina, spinta da una madre appena fucilata, scivola via.
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