14 Novembre 2017 - 11:58

Italia, finisce un ciclo. L’esempio tedesco da seguire. Ancelotti la scelta giusta

italia

Italia: è finito un ciclo. La débâcle di ieri è un’opportunità che non dobbiamo farci sfuggire. Il calcio tedesco è l’esempio da seguire

di Danilo Iammancino

Il movimento calcistico italiano ha subito una grave battuta d’arresto. La débacle italiana è stata accompagnata da un mix di stupore, incredulità e sconforto. Dopo 60 anni una non qualificazione ai Mondiali deve per forza di cose portare a spunti di riflessione costruttivi.

Nella serata di ieri era sufficiente guardare le prime pagine dei giornali esteri per capire che all’esterno non godiamo di particolare simpatia. Non dobbiamo abbatterci, il nostro è un Paese invidiato proprio perché siamo particolari, autentici e originali.

Scrive un amico su Facebook: 

“Ricordo che aspettavamo con ansia quei mesi estivi per il semplice gusto di addobbare i nostri quartieri con le strisce tricolori, mentre ci organizzavamo già sui luoghi di visione delle partite, rigorosamente tutti insieme. 
Ricordo che sognavamo ad occhi aperti e che le nostre esultanze diventavano man mano sempre più folli.
Ricordo, anche se bimbo, il rigore di Baggio.
Ricordo di un bagno sulla tavola da surf con un mare in tempesta, dopo la traversa di Di Biagio.
Ricordo la bottiglia di spumante già pronta per i festeggiamenti nel 2000.
Ricordo la Corea e ricordo il biscotto.
Ricordo che al goal di Materazzi mi sono ritrovato nel cassonetto dell’immondizia.
Ricordo di aver toccato la coppa del mondo al Circo Massimo.
Ricordo persino gli ultimi due mondiali anonimi, come ricordo la doppietta di Balotelli e il rigore strampalato di Zaza.
Stasera fate sì che bambini, ragazzi e uomini possano arricchirsi ancora di questi semplici, genuini e anche banali ricordi, perché, per quanto futile possa essere l’argomento calcio, quei momenti faranno sempre parte di ognuno di noi.”

Il calcio è nel nostro dna, nei nostri ricordi e nel nostro modo di vivere. Non dobbiamo abbatterci. Siamo anche bravi a rialzarci nei momenti di difficoltà.

L’Italia deve ripartire dalla qualità. L’asticella deve inesorabilmente ripartire dal proprio settore giovanile. Bisogna rivitalizzare i vivai. Talenti ne nascono sempre (e in tutti i settori). Fondamentale è che esista un contesto in grado di farli crescere, e qui la Germania può essere l’esempio da seguire.

In un momento storico in cui si alzano muri e l’integrazione multirazziale ha smesso di essere una “pratica sociale”, il calcio tedesco deve ringraziare  il cancelliere Gerhard Schöder con una riforma della cittadinanza che dallo “ius sanguinis” di guglielmina memoria (è tedesco chi ha sangue tedesco) è passata allo ius soli (è tedesco chi nasce in Germania), a patto che uno dei genitori risiedesse nel Paese da almeno otto anni. Da qui, si sono aperte le porte della nazionale per molti stranieri.

La Germania d’oro degli anni Novanta si era ubriacata dei propri successi e aveva perso il contatto con la realtà. Nel 2002 i tedeschi arrivano in finale contro il Brasile negli anomali mondiali nippo-coreani, ma perde 2 a 0. Due anni dopo agli europei in Portogallo è di nuovo fuori ai gironi.

Per l’attuale allenatore della nazionale, Joachim Löw all’epoca il calcio tedesco era a terra. Era necessario intraprendere delle misure: solo con le virtù tedesche non ce l’avremmo fatta. Da li si ripartì. Tra le primissime misure adottate è stato fatto obbligo per tutte le squadre della Bundesliga di metter su accademie giovanili per la crescita dei talenti; è stato creato un network di contatto che metteva insieme le accademie e tutti i centri di formazione; e infine è stata creata una “Bundesliga-A” giovanile.

I frutti sono stati colti già ai mondiali del 2006 in Germania, con gli allora giovani Schweinsteiger, Lahm e Podolski a calcare la scena – peccato che la “favola estiva” dei tedeschi si è spenta in occasione di una memorabile partita contro l’Italia.

Tra investimenti sui talenti e passaporti, i risultati arrivano: con Matthias Sammer direttore dello sviluppo dei talenti (dal 2006 al 2012), nel 2009 tutte le nazionali giovanili tedesche vincono gli europei. Non a caso nella nazionale under 21, che asfalta 4 a 0 l’Inghilterra in finale, ci sono sei giocatori che nel 2014 avrebbero portato alla vittoria ai mondiali brasiliani, con inclusa umiliazione 7 a 1 dei padroni di casa.

Attualmente ci sono in Germania 366 centri di sviluppo talenti. Le squadre devono spedire i giocatori più promettenti a un paio di allenamenti supplementari a settimana in questi centri, sotto la supervisione di un totale di 1.300 allenatori. Da qui ci sono 29 coordinatori che fungono da contatto tra i 1.300 allenatori e le squadre professionistiche. I centri servono anche per definire le rappresentative regionali, da cui si scelgono le nazionali giovanili. Ogni anno transitano per i centri qualcosa come 600 mila ragazzini, per un budget attorno ai 25 milioni di euro.

Non basta: le squadre della prima e seconda divisione devono avere una propria “cantera” che risponda a precisi requisiti tecnici (compresi tre campi regolamentari). Così, i club fino al 2015 hanno investito 800 milioni di euro nel settore giovanile, e altri 100 milioni sono arrivati dalla federazione. Una riforma che inizialmente fu dura da digerire e in cui molti club furono costretti ad attuarla con commissari spediti a controllare se i centri giovanili delle squadre rispettassero regole e standard, con punizioni e così via.

A parte l’approccio tecnico, a cambiare è il rapporto tra direttori sportivi, allenatori e giocatori più giovani. Agli assordanti mondiali sudafricani nel 2010 l’età media dei calciatori tedeschi era 25,3 anni (e la nazionale perse 1 a 0 in semifinale contro la Spagna di allora); due anni dopo, agli europei in Ucraina e Polonia, l’età media era scesa a 24,4 anni (e la Germania uscì in semifinale contro una rodatissima e brillante Italia). I mondiali brasiliani vengono vinti con una squadra dall’età media di 25,8 anni. Paragoniamo rapidamente con le età medie della nazionale italiana: 26,3 anni nel 2010, 27,2 nel 2012, fino al record di 29,2 nel 2014 – la nazionale più vecchia di sempre, che tanti fa sentir giovani.

L’occasione per ripartire c’è. Ieri si è chiuso un ciclo, è nell’ordine naturale delle cose. Abbiamo ora una grande occasione e dobbiamo sfruttarla al meglio.

Ancelotti può essere la chiave giusta per riordinare le idee. Nessuno ha la bacchetta magica, ma abbiamo visto che il manico deve essere buono. A prescindere dai problemi reali di questa Italia, rimboccarsi le maniche non potrà che farci bene.

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *