La Favorita: l’assalto di Yorgos Lanthimos al premio Oscar
Con La Favorita, il regista greco Yorgos Lanthimos decide di tentare l’assalto agli Oscar. A collaborare nell’impresa, un cast quasi totalmente femminile
L’ascesa è quasi conclusa. Yorgos Lanthimos, il suo Inferno, l’ha già vissuto, ed ora è quasi arrivato alle soglie del Valhalla, più che del Paradiso. La Favorita, il suo nuovo film, è quello che gli ha permesso l’accesso a ben 10 premi Oscar, raggiungendo il primato di nomination per il 2019.
A collaborare nella sua impresa, si situano tre attrici di indiscussa fama mondiale, due delle quali già alle dipendenze del regista in The Lobster. Parliamo di Emma Stone, Olivia Colman e Rachel Weisz. Loro stesse saranno il veicolo della storia, una commedia dal sapore grottesco e dal messaggio fortissimo, come al solito celato dietro un intreccio che si mantiene in apparenza molto lineare e semplice da comprendere.
L’ambientazione scelta, il periodo storico adoperato per La Favorita è quello dell’Inghilterra del XVIII secolo. E lo scenario è tutt’altro che banale, perché siamo in periodo di guerra tra Francia e Inghilterra. In questo clima ostile, si staglia una sorta di “stallo a tre“, un intrigo a corte che ha come protagonista la fragile regina Anna (interpretata da Olivia Colman), la sua “intima” cugina Lady Sarah (Rachel Weisz) e l’affascinante altra parente Abigail Masham (Emma Stone).
Le tre saranno le protagoniste di un clima teso, rivoluzionario, fatto di ingranaggi che si oliano e girano in continuazione, di tasselli che cambiano d’azione in azione. Conviene, però, andare per ordine e parlare per gradi di questo film che potenzialmente può diventare un masterpiece.
La dura lotta psicologica
Come abbiamo già detto, La Favorita prende piede in un clima incredibilmente ostile. Nei primi anni del ‘700 l’Inghilterra è in guerra contro la Francia. Ciò nonostante, le corse delle anatre e il consumo di ananas vanno per la maggiore. Una fragile regina Anna siede sul trono, mentre l’amica intima Lady Sarah Churchill, duchessa di Marlborough, governa in sua vece e se ne prende cura.
Questo meccanismo ben oliato subisce degli scricchiolii quando, a corte, si presenta la cugina di Lady Sarah, Abigail Marsham. Quest’ultima è caduta in disgrazia, ed è passata dalla vita alla nobiltà alla povertà assoluta. Il suo obiettivo, però, è proprio quello di riabilitare la sua figura, riuscendo ad entrare nelle grazie della regina.
Si instaura, così, un vero e proprio duello tutto al femminile, che vede protagoniste Sarah e Abigail. Entrambe competeranno per capire chi sia “La Favorita” della regina. Di qui la trama prende un piede sempre più agguerrito, costituito da un batti e ribatti che andrà avanti per tutta la durata della pellicola.
Un film che guarda al passato per puntare al futuro
La Favorita è un film atipico per i tempi. Si potrebbe considerare un vero e proprio film che guarda al passato (anzi, ai passati) per puntare al futuro. Il futuro, naturalmente, lo conosciamo tutti e si chiama Oscar, le cui nomination si sprecano.
Di passati, invece, ve ne sono molteplici. Oltre a quello in cui si staglia l’intera vicenda, che gli favorisce un’ambientazione scenica sfarzosa, dettagliata e accuratissima, alla ricostruzione dei costumi perfetta, parliamo anche di un passato dal punto di vista cinematografico. Lanthimos è sempre stato un regista in grado di attingere a piene mani dal cinema di altissimo livello, quello per i colti. E qui ne dà la sua prova.
Se in La Favorita avete scorto ancora una volta il legame con Kubrick (pianisequenza e inquadrature a largo campo ne sono la dimostrazione), noi vi diciamo che c’è molto di più. C’è un forte richiamo al cinema estroso e grottesco di Peter Greenaway, sia dal punto di vista dei movimenti della macchina che nella narrazione. Yorgos, questa volta, si serve continuamente di tecniche singolari come rotoscope e fish-eye per inquadrare la realtà.
Ciò fornisce sempre una visione a 360° della scena, che valorizza lo scenario e dà lo spazio giusto anche alle scene (assurde) fuori campo, come quella che coinvolge un amplesso nel mentre di un discorso tra Sarah e Abigail. Altro privilegio è quello di saper costruire sapienti giochi di luce naturali, che donano all’immagine una splendida dimensione.
A questo, in La Favorita, si aggiungono anche giochi di dissolvenza continua che richiamano ad un montaggio “vecchio stampo”, oltre ai campi larghi che sono marchio di fabbrica del suo cinema. La ricostruzione storica è dettagliata e accurata, e coinvolge tutti gli ambiti, dalle ambientazioni barocche ai costumi (bellissimi) sfarzosi, dandoci piena prova che è possibile anche girare un film perfetto anche 300 anni dopo gli effettivi avvenimenti.
Il lato nascosto
Ma La Favorita non è solo un film scenicamente meraviglioso. Anzi, gode di un punto forte proprio lì dove i film del regista greco hanno sempre goduto di critiche (ingiuste): la sceneggiatura. I dialoghi sono ironici, quasi satirici a volte, risultando pungenti e serrati, inasprendo ancora di più la lotta intrigante tra le “dame a corte” e divertendo il pubblico.
Molti meriti, però, vanno anche alle interpretazioni di Emma Stone, Rachel Weisz e dell’insuperabile Olivia Colman. Le tre si completano a vicenda, e regalano prove attoriali veramente assurde. La Colman riesce a garantire perfettamente il profilo di una regina bipolare, capace di essere triste e felice contemporaneamente, tenera e rabbiosa allo stesso tempo. Ma, alla fine, si rivela dominante e straripante, decisa a mantenere il controllo. Straordinaria.
Emma Stone ci dà la parabola perfetta della scalata sociale e della critica conseguente. Un personaggio machiavellico, scaltro, furbo, capace di far di tutto pur di “arrivare” al tanto agognato ruolo di favorita. Anche di perdere la propria dignità sessuale (anche in senso saffico), una sadista egocentrica.
Per contro, Rachel Weisz rappresenta il perfetto contraltare. Quello di una donna forte già dall’inizio, che temendo di essere spodestata comincia ad essere ancora più gelida e cinica, salvo poi pagarne le pene.
Proprio su questo filo, quello del girl power diventato cinismo ed esasperazione, si gioca anche lo stesso finale del film. Un finale come sempre “lanthimosiano“, ambiguo, ma questa volta ancora più crudele psicologicamente, per la spietatezza del destino che punisce i nostri sogni. Un senso di tristezza e amarezza che cresce lentamente e non se ne va più. Un Inferno che le tre protagoniste abbracciano con lo stesso piglio, e che le segnerà a vita.
Deborah Davis e Tony McNamara costruiscono, dunque, una critica fortissima nei confronti dell’arrivismo che si ricalca sull’attualità. Dietro l’apparente facciata della commedia grottesca e ironica, dunque, si nascondono l’angoscia, la cupidigia e l’amarezza più profonde.
Lanthimos colpisce ancora
Il padrone di tutto, però, è ancora Yorgos Lanthimos. Sebbene la sceneggiatura non sia proprietà sua, si avverte la forte influenza che il regista ha donato alle stesse vicende del film. Vicende crude, ciniche, che fanno anche uso di spruzzate di gore (il sangue dell’uccello sparato che spruzza sulla faccia di Rachel Weisz ne è un esempio).
Sono scene che lo avvicinano ulteriormente a quello Stanley Kubrick di cui, ormai, prende sempre più il posto che gli compete come erede. Lanthimos, del politically correct, non si interessa minimamente. Non si pone il problema di inquadrare in slow-motion la derisione di un “ciccione” denudato e preso ad arance dalla corte intera. Nemmeno quello di inquadrare l’uccello completamente squartato dalle botte di fucile della Weisz.
Non è per chi vuole la classica ricostruzione storica semplice, come un biopic. Lui è insano, senza la minima pietà per nessuna specie del genere umano. Una “peculiarità” che si pone tra l’incudine e il martello, che può scioccare e disgustare gli spettatori o può meravigliare gli occhi in virtù della rappresentazione iperrealista della società odierna.
Una rappresentazione che, in La Favorita, raggiunge il suo massimo risultato. Un risultato da Oscar, nella sua totalità.
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