La macchina umana di Adelmo Togliani: come rieducare la forma dell’arte?
La prima del corto La macchina umana di Togliani/Siragusano, lascia quesiti interessanti sulla convivenza tra uomo e tecnologia: anche il cinema è strumento di riflessione…
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Più volte il regista e attore Adelmo Togliani ha parlato del cinema in relazione al luogo, questa volta ha associato la sua ricerca artistica a Marina di Camerota. Siamo nel Cilento, dove storia e paesaggio sembrano evolversi reciprocamente, e dove, Adelmo riesce ancora una volta a ritrovare se stesso. Perché il cinema è dimensione introspettiva, almeno per il regista, un costante ritorno al bello, all’originario, all’autentico, all’umano. Adelmo Togliani ci parla del cinema, e implicitamente di sé, attraverso il suo nuovo cortometraggio La macchina umana: due parole che possono essere intese in maniera dialettica o in osmosi, ed è proprio in entrambi i modi che Togliani vuole narrare la vicenda.
Anche attore protagonista del corto, Adelmo è Stefano, un personaggio depresso e apatico, ingabbiato in una seduta psicoanalitica dove prova a ricollegare i ricordi della sua vita, in una continua contrapposizione tra interno ed esterni: Marina di Camerota è dunque metafora della ricerca umana della felicità, dell’arte, è immagine dell’amore.
A questo luogo sarà spesso associata Valentina Corti, protagonista dallo sguardo sofferto, compagna comprensiva e instancabile. Stefano/Adelmo sta cercando l’amore, ma è atrofizzato in un prendi e lascia che lo corrode.
Pur puntando alla progettazione di un film, La macchina umana rielabora le componenti del cortometraggio amalgamandoli con il suo senso, con l’idea di rappresentare l’ambivalente rapporto tra uomo e macchina. In un flusso di immagini che ricompongono una quiete perduta, Stefano è frastornato dalla nostalgica presenza del vero in lui, nonostante sia imbevuto di ‘macchinosità’.
Le immagini sono come un’azione metalinguistica intima e corale:
si distendono quando incontrano il paesaggio, si colorano quando si riflettono nel mare, diventano inafferrabili se circondano la figura femminile. Adelmo Togliani, insieme al regista Simone Siragusano, realizza un corto con cui riflettere sulla reale convivenza tra umanità e virtualità, portando il cinema stesso al centro di tale dibattito.
Se è la forma a perdere il suo “umanesimo”, anche il contenuto va ricercato, sempre. Il cinema dovrebbe, avrebbe forse l’imperativo ermeneutico di esercitare alla creatività, riportare l’esperienza umana al centro, debellare il sopravvento del mezzo (pur essendo tecnologia) per ridare ossigeno alle menti, ai sentimenti, alle emozioni. La perdita dell’amore nell’uomo è sinonimo di allontanamento dalle origini, da se stessi, dall’arte, dalla propria esistenza.
Un testo “aperto” quello che Togliani lascia allo spettatore: come possiamo rieducare la forma e l’arte? Forse Adelmo riesce a ritrovare la sua forma vivendo un rapporto personale con il luogo, dimensione corale, “completa” come la definisce il regista, che sprona la sua intimità ad umanizzare l’arte, il suo instancabile bisogno di rieducarsi all’armonia, alla prima forma di bellezza.
Il cortometraggio, dopo l’anteprima assoluta al cinema Bolivar a Marina di Camerota rivolta solo alla stampa, sarà presentato nei numerosi festival.
Foto in evidenza a cura del fotografo di scena Pietro Avallone
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