La via della Colatura
Chi su due piedi chi su due ruote, Outdoor questa settimana si divide tra sentieri nascosti e strada asfaltata. Da Dragonea a Cetara, tutti insieme verso il simposio sulla Via della Colatura
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“La nostra relazione con il cibo è un sentiero inaspettato” – scriveva G. Roth – “Tutto ciò che credi sull’amore, sul cambiamento, sulla gioia e sulle possibilità si rivela in come, quando e cosa mangi. Il mondo è nel tuo piatto”. Sulla scia della stretta amicizia tra cibo e natura, noi Outdoorini siamo sempre alla ricerca di percorsi nuovi da esplorare così come di sapori inediti da godere.
Veraci gourmet, lasciamo aperto l’animo alla scoperta e il palato suscettibile alle varie alchimie del gusto. E se il mondo è nel piatto, nel nostro ci sono tutti i profumi, i sapori e i racconti dei luoghi che visitiamo.
E nuovo è il percorso che intraprendiamo oggi tra le vie nascoste all’ingresso della costa amalfitana, come nostri ma sempre nuovi sono i sapori di questa terra. E noi, viandanti cosmopoliti alla ricerca del piatto anomalo.
Ci dividiamo in 2 gruppi, come chef in un gioco della prova del cuoco. Chi in sella lungo la costa sul mare, chi a piccoli passi dietro le quinte dei Monti Lattari. Siamo oggi 2 squadre di “assaggiatori ufficiali” di prodotti tipici che si danno il via per un unico obiettivo: arrivare affamati e salvi nel paese della colatura.
Ci attende un banchetto a base di abbondanti piatti della tradizione, genuine risate e profumo di mare.
Partenza da Dragonea di Vietri sul Mare e, mentre il gruppo degli “amici di Pantani” da Salerno scorrazzano verso la costiera passando da Cava e poi per l’Avvocata, la maggioranza sceglie il passo lento del trekking, seguendo la traccia bassa che punta al Monte Falerzio.
Tra amici ritrovati, vecchi capitani e illustri nomi del cinema d’autore, c’incamminiamo lungo un sentiero tra fessure di sole e ombre di ulivi. È primavera, mite la giornata e morbida la passeggiata. Sono 3 ore di avanzata lenta, mentre fotografiamo le orchidee selvatiche non ancora schiuse, raccogliamo soddisfatti qualche asparago che nessuno ha ancora visto, spilucchiamo banane per tamponare la fame.
Perché a noi Outdoorini basta poco per sentire fame. A renderci affamati ci basta già solo l’idea del piatto che ci aspetta.
Ci lasciamo portare così dall’odore del rosmarino selvatico, che troviamo attaccato ai muri come ad una cascata e che raccogliamo come ogni erba che troviamo lungo i nostri percorsi. Che siano commestibili o meno, noi le assaggiamo e le cuciniamo tutte.
Tra resti di pungitopo invernale e ultime tracce di borraggine, proviamo a riconoscere la prima ortica e le foglie di bardana; qualcuno giura che quello sia tarassaco o denti e’ lion, mentre qualcun altro raccoglie radici di cicoria per farne caffè.
Ma l’erba non placa la fame. Almeno questa. E noi continuiamo a passeggiare tra scorci di mare e terrazze naturali che danno sul golfo, passando in mezzo a mura di case abbandonate con affaccio di lusso.
“Tu con il tuo amore hai riacceso tutta la mia vita” si legge su una di queste. Noi ci riaccendiamo con le promesse del banchetto fatto ed avanziamo il passo.
Passiamo tra i vicoli di Albori, uno dei borghi più belli d’Italia, aggrappata alle pendici del Falerio a 264 m sul livello del mare, che si dà ai nostri occhi in un susseguirsi di case a volta dai colori vivaci e vicoli stretti. Sentiamo sotto ai balconi aperti odore di pentole sul fuoco. Il profumo s’impossessa delle nostre menti e dei nostri corpi. Avanziamo con passo celere. La colatura ci aspetta.
Sosta alla sorgente del Cesare, limoneti affacciati al sole, curve di scalini in discesa… e finalmente Cetara! 6 km di cammino con un’unica idea in testa. Indovinate quale.
Ci ricongiungiamo con i seguaci di Pantani. In testa al gruppo degli oligarchi il nostro Tritone di Cetara che oggi – con il dettaglio di stile del “calzino aggressivo” – si trasforma per noi nel “Caronte del convento” e ci trasporta dritto al piatto!
Lontano dall’idea iniziale degli assaggini o di una semplice degustazione, ci accomodiamo alla tavola zelanti di entusiasmo. Pieni gli occhi e piene le mani.
Nei festosi banchetti tra amici dell’antica Grecia, i convitati portavano un canestro con dei cibi pronti e un bastone con cui si accompagnavano nella passeggiata, che lasciavano poi appesi al muro per onorare la tavola. Erano le prime forme del nostro pranzo a sacco e dei bastoncini da trekking. Oggi abbandoniamo bastoni e packet lunch anche noi e – latitando il pic nic solito sul praterello – ritorniamo antichi commensali greci che riconciliano a tavola cibo e natura.
Ci accoglie il banchetto con un primo piatto caro alla tradizione dell’outdoor: la caponata. Questa volta non di Leo Cracco, ma con tonno locale, olive e pomodori secchi, dal gusto succulento ma raffinato.
E non abbiamo provato ancora niente! Arriva per stupirci il tortino di scarole con pinoli, uva sultanina e bottarga di tonno messa sopra a mo’ di ciliegina. Bello da vedere e ottimo da mangiare. Quasi ci sentiamo già sazi.
Ma non può mancare Lei, la regina della tavola cetarese: lo spaghetto con peperoncino e la colatura di alici. Sarà pesante? Ma beviamoci su con la birra artigianale a km 0! Ai piatti della tradizione non si dice mai di no.
Non abbiamo ancora finito? No, ci aspetta il cuoppo fritto, croce e delizia al cartoccio e principe dello street food di casa nostra. L’oro di Cetara è qui: insieme a gamberi e calamari alici a go-go.
Siamo luculliani trekkers sensibili al piacere, degustatori appassionati di esperienze sensoriali, golosi esploratori alla ricerca di itinerari nuovi attraverso i loro sapori.
Siamo i moderni ospiti al simposio dell’outdoor, dove non si parla di lavoro, di religione né di politica, dove anche i nemici diventano amici e dove finalmente ci apriamo verso l’altro.
A tavola ci raccontiamo. Condividiamo il piacere del cibo ma anche delle confidenze. Attuiamo la comprensione, imbastiamo relazioni, rinsaldiamo legami.
Intorno a una tavola imbandita accade di tutto.
Ogni portata è come la scoperta di un sentiero nuovo, perché racchiude dentro di sé l’esperienza che ne facciamo e il godimento che ne traiamo.
Ci alziamo da tavola appagati e ritemprati, come dopo ogni escursione. Noi snobbiamo il galateo, abbiamo pulito i piatti. C’è qualcuno che è già pronto per un ritorno a piedi Vietri per un giro ad anello.
Ma ci aspetta ancora il limoncello.
“Mangiare, è incorporare un territorio.”
Jean Brunhes
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