23 Giugno 2018 - 19:36

“L’animale morente”, il desiderio è la reazione fisica alla bellezza

l'animale morente, philip roth

“L’animale morente” è il romanzo di Philip Roth che l’America del perbenismo accolse con riserva, ma che rivela la vitalità di un animo che desidera

Prendete “L’Animale morente” di Philip Roth e iniziate a leggerlo piano, scivolando lentamente sulle parole. Non c’è fretta di entrare nella profondità vertiginosa di un autore in grado di convertire i propri pensieri in fuoco, vivo e ardente. E in carne, da bramare.

David Kepesh è un professore di letteratura comparata che coltiva il proprio carisma con la partecipazione a trasmissioni televisive di successo. All’alba dei sessantanni, dopo decenni di amore libero e sessualità spregiudicata, incontra una studentessa che gli riaccende i sensi. E’ la ventiquattrenne Consuela Castillo.

Consuela Castillo

La donna, vestita di un dignitoso passato cubano, è dolce nell’esercizio di una sottile vanità. Sa quanto vale il suo fisico, sa cosa significa. Sa anche che non avrebbe potuto inserirsi nel mondo culturale del professore, ma non ne ha paura perché “la cultura era una cosa dalla quale voleva essere abbagliata, non un mezzo di sostentamento.”

Il suo corpo, opera d’arte classica ma tumultuosa, è oggetto di venerazione agli occhi di un uomo che teme il passare degli anni e si aggrappa a quel sinuoso residuo di gioventù. Il desiderio del professore è la reazione estetica alla bellezza vivaMa può il desiderio resistere alla minaccia della vecchiaia, all’avanzare della morte? 

La vecchiaia

La vecchiaia, in fondo, non è altro che il primo pezzo di vita da cui ti senti totalmente escluso, pur abitandolo. Osservando la propria decadenza, ciascuno avverte un distacco considerevole da essa, dettato dal fatto che si è ancora in gioco, ancora vivi.

Eppure i esistono i segni, quelli che il tempo ti scava addosso con una obiettività brutale. Questo il professore lo sa bene, e cerca di ingannarlo: con il sesso, capace di sconvolgere le nostre vite, solitamente ordinate, con la passione per la bellezza, l’arte, la letteratura, per tutto ciò che dia una parvenza di eternità.

L’addio

La storia tra i due giunge al capolinea, e il professore sprofonda in una deriva cinica: “L’attaccamento è rovinoso, chi si forma un legame è perduto”. E insiste: “Cosa crede, la gente, che basti innamorarsi per sentirsi completi? Io la penso diversamente. Io credo che tu sia completo prima di cominciare. E l’amore ti spezza. Tu sei intero, e poi ti apri in due.”

Ma l’epilogo vero arriva più tardi, spietato. Il corpo di Consuela, come un fiore nel pieno della giovinezza, sarà reciso del petalo più bello e voluminoso. Rimane l’amore, perché non si spegne la bellezza. Rimane il desiderio, perché si preserva il ricordo dell’armonia.

Se nel corpo, non meno che nel cervello, è incorniciata la storia della vita, questo romanzo insegna ad amare l’anima a partire dalla carne. A non aver paura di contaminare il sesso con le sue distorsioni: desiderio, infatuazioni, possessività, amore. Perché è inevitabile che ciò avvenga, che ci sia un inizio puro, e un finale che consumi il cuore.

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