Marcello Balestra: “Dalla mi ha insegnato la sorpresa”
Il ritorno al Teatro Bello di Milano con lo spettacolo "Lucio c'è" è occasione per una chiacchierata a tutto tondo con Marcello Balestra: dall'amicizia con Dalla agli anni da direttore artistico della WMI
Forse era scritto nel mio destino a breve termine che intervistassi Marcello Balestra, di ritorno al Teatro Bello di Milano domenica 3 marzo con lo spettacolo “Lucio c’è”, non in un giorno qualunque ma il 1 marzo 2024, a dodici anni esatti dalla scomparsa di Lucio Dalla, con ancora nelle orecchie e nel cuore la magia de “La Sera dei Miracoli” e la tenerezza de “La Casa in riva al mare”, attraverso cui, appena 48 ore prima, la riproduzione casuale si è divertita a mandarmi dei segnali dal più prossimo futuro.
Balestra, anche Lucio era così fatalista?
Più che fatalista Lucio era un visionario: ti portava a comprendere cose alle quali lui arrivava prima, forte di una grande sensibilità, e lo faceva attraverso le sue canzoni.
La morte di Lucio mi ha talmente colpito che ricordo esattamente cosa stessi facendo quando l’ho saputo. Lei che sensazioni conserva di quel giorno?
Ero nel mio ufficio in Warner, la casa discografica di cui all’epoca ero direttore artistico, quando mi raggiunge il direttore generale e mi dice: “Hai saputo? Lucio.” Io, con la consapevolezza che il nostro rapporto terreno si era concluso, ho pianto per mezz’ora. Poi ho scritto una lettera, che ho riportato anche nello spettacolo.
Quando inizia la vostra collaborazione?
L’ho conosciuto nel 1980 alle Isole Tremiti. Dall’anno dopo ho cominciato a frequentarlo anche artisticamente, di studio di registrazione in studio di registrazione. Il suo ultimo album “Work in Progress”, insieme a Francesco De Gregori, lo ha fatto con me in Warner. La sua canzone che preferisco? Difficile dirlo, anche perché nel caso di Lucio non sei tu che scegli le canzoni, sono loro a venirti incontro. Certo, avverto delle vibrazioni particolari ed intense quando ascolto canzoni come “Futura”, “Meri Luis” e, soprattutto, “Henna” in cui riconosco pienamente l’umanità e l’artisticità di Lucio. Tutto il suo repertorio ti parla, come se stessi vivendo quei momenti ancora oggi. In questo senso sì, Dalla è un classico.
Domenica sul palco ci sarà anche Luca Jurman…
Il percorso umano e musicale che ho tentato di tracciare con “Lucio C’è”, non cambia in funzione dell’ospite. Certamente Luca avrà il suo momento. Sono onorato che lui voglia raccontare assieme a me attraverso la musica il suo Dalla e sono sicuro che saprà perfettamente calarsi nella natura inclusiva dello spettacolo: più gente c’è sul palco, meglio si canta. Condividere la scena piaceva molto anche a Lucio. Ma il più grande lascito che mi ha fatto è, parole sue, “vai a culo col mondo”, che significa non seguire per forza quello che funziona, che sicuramente piacerà a tutti; dà ascolto, piuttosto, a qualcosa che ti sorprende. Anche in questo Dalla era inclusivo: se una cosa non mi piace o mi scuote non la escludo a priori, provo a capire cosa ha da dirmi e poi chissà.
Anche lei, però, ha mostrato sorta di dalliana visionarietà quando per esempio ha fatto sì che “Amici” puntasse sugli inediti dei concorrenti…
All’epoca avevo già prodotto la compilation di “Ti lascio una canzone”. Così ho pensato di proporre la stessa cosa anche ad “Amici”: un album, ma con degli inediti. Tanto più che all’epoca già tantissimi autori erano in attesa di proporre le loro composizioni magari al vincitore del programma.
Ed è così che la sua Warner mette gli occhi su Annalisa…
Le sue qualità canore non erano in discussione già all’epoca. Annalisa nasce cantautrice, ma c’è voluto del tempo perchè le sue canzoni trovassero il giusto spazio, all’inizio forse mancava di intensità. Così abbiamo deciso di iniziare un percorso da interprete: con esperimenti riuscitissimi ed altri un pò meno. Oggi sono contento che abbia trovato un equilibrio tra l’artista con una voce portentosa (che però spesso poteva rischiare di ingabbiarla) e la donna, finalmente libera sul palco.
Sanremo 2024 è stato, nemmeno a dirlo, un successo. Dall’edizione 2025 c’è, al momento, un fuggi fuggi generale: nessuno vuole essere il dopo-Amadeus…
Per fortuna, però, Sanremo si tiene in piedi anche da solo. Chi vedrei bene l’anno prossimo sul palco dell’Ariston? Forse una coppia, al femminile. Magari un’attrice e una cantante, che siano anche amiche. Gli indizi ve li ho dati tutti: punto su Paola Cortellesi e Laura Pausini.
Laura, però, ha già detto di no. Diceva spesso di no anche a lei in Warner?
Laura ha un suo modo di essere che ho sempre rispettato, di cui se vuole sono andato spesso anche orgoglioso, essendo romagnolo come lei. I no, poi, sono alla base della nostra evoluzione. Quando sono diventato direttore artistico della Warner (lo è stato fino al 2014, ndr.) Laura era già affermata, tra dischi che andavano bene in tutto il mondo e premi su premi ricevuti. E’ sempre stata una grande professionista che ha ben compreso una cosa fondamentale: se vuoi cantare in tutto il mondo, devi conoscere almeno tre lingue. Lei e Ligabue erano, all’epoca, le mie teste di serie. Motivi di discussione? Non ne abbiamo mai avuti troppi: lei lavorava con il suo staff e a me, come da prassi consolidata, toccava ascoltare già il prodotto finito. L’ultimo album al quale abbiamo lavorato insieme è il best of del 2013. Ecco, forse in quel caso avremmo potuto fare delle scelte diverse riguardo i singoli.
Le manca mai il lavoro di direttore artistico?
Mi manca più che altro quel confronto sempre aperto con artisti diversi e provenienti da più campi. Oggi quello che vedo è un fiume con troppi torrenti, tutti simili.
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