16 Maggio 2016 - 10:24

Maschio Angioino, un gigante dal cuore fragile

napoli

Viaggio all’interno di uno dei simboli di Napoli, il Maschio Angioino fra magnificenza e degrado

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Il Maschio Angioino, insieme a Castel dell’Ovo, è il castello più famoso della città partenopea. Rispetto a Castel S. Elmo è facilmente raggiungibile, dal momento che si trova nelle immediate vicinanze di Piazza Plebiscito, la zona più amata dai turisti. Visitarlo, per chi volesse utilizzare i mezzi pubblici, è molto comodo, e, scendendo alla fermata “Municipio” della linea 1 della metro, vi si staglierà davanti in tutta la sua imponente grandezza.

Angelo del Maschio Angioino

Non c’è nessuna annotazione da fare riguardo all’esterno. La bellezza e l’imponenza esterna del Maschio Angioino sono francamente indiscutibili, ciò che lascia perplessi è l’interno. Non che l’interno non sia all’altezza dell’esterno, tuttavia, l’incuria in cui versa Castel Nuovo è una reale minaccia per le opere ivi custodite. Lascia sgomenti il fatto che molte sale, tra cui la celebre Cappella delle Anime del Purgatorio, non siano fruibili al pubblico. Il fitto vetro che cela questa cappella, lo cela in ogni senso, rendendo praticamente impossibile scorgere dall’esterno la decantata bellezza degli affreschi e delle decorazioni barocche. Ciò che traspare dallo spesso vetro è solo un indistinto colore dorato che avvolge indistinti affreschi, sicuramente più nitidi in una qualsiasi pagina Wikipedia.

VictaAnche volendo visitare il Museo Civico, le cose non mutano poi tanto. Un bellissimo angelo, un angelo con incantevoli ali variopinte, giace alla mercé di pioggia ed intemperie, del tutto dimenticato, accanto ad una finestra senza vetro del primo piano. In un qualsiasi Stato del nord Europa una simile bellezza sarebbe stata considerata in modo diverso; non solo sarebbe stato giustamente tutelato, ma forse gli avrebbero dedicato almeno tre o quattro opuscoli esplicativi. Per alcuni si va da un eccesso all’altro, ma fa riflettere quanto la sovrabbondanza di opere arte di cui disponiamo, a volte non ci faccia apprezzare opere che minori non sono, sminuendole, quasi condannandole all’oblio. Ci si augura almeno che i 6 euro che i visitatori versano come obolo per entrare, possano servire per riparare in tempi celeri il vetro rotto, restituendo la giusta dignità ad un’opera dai colori fiabeschi e surreali.

Sala dei BaroniPer il resto, nonostante molti ambienti non siano visitabili, il castello, oltre a conservare vere e proprie perle artistiche come l’affresco di Papa Celestino e la Sala dei Baroni, ospita una interessante esposizione su cinquantotto sculture di Francesco Jerace (1853-1937). Anche per chi non fosse particolarmente interessato ai busti in marmo e gesso, la collezione riserva comunque delle sorprese. Numerosi sono, infatti, i busti di personalità famose di quegli anni, come Carducci e Crispi; la collezione è anche un’occasione per notare come l’intellighenzia meridionale dell’epoca, subito dopo la fine del Regno delle Due Sicilie, fosse ancora cosmopolita, popolata da principesse bavaresi ed industriali svizzeri trapiantati in Campania, legata culturalmente ad ambienti indipendentisti polacchi. Nella collezione, infatti, fanno bella mostra di sé tre busti del diplomatico e giornalista polacco, Wladyslaw Sobanski, nonché la stupenda Victa, un’opera che rappresentava la Polonia di quegli anni, vinta ma non annientata. L’auspicio è che questo castello, simbolo politico e culturale della Campania, possa essere come questa statua, vinto ma non annientato, e possa, quindi, risorgere dalle proprie ceneri, mostrandosi in tutto il suo splendore.

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