Matrix Resurrections: Wachowski e l’unica via di “fuga”
Nel 2021, Lana Wachowski ritorna “alla base” tramite “Matrix Resurrections”. Un sequel che riflette sullo stato odierno dei blockbuster
Quello in cui il cinema sta vivendo è uno stato fortemente incerto. La Settima Arte è sempre più preda di un pubblico che sembra preferire radicalmente (salvo eccezioni) un cinema fatto di narrazioni leggere e fortemente eroistiche. A questo, però, vi si aggiunge anche un certo gusto per l’ironia e per il coinvolgimento emotivo per nulla banale. Lo spettatore moderno si affida molto di più a ciò che prova in fase di visione. Lana Wachowski, con il suo “Matrix Resurrections“, prova un’operazione di riflessione su questo status.
L’obiettivo di “Matrix Resurrections” è proprio quello non solo di rivisitare semplicemente il franchise, ma di interrogare lo spettatore su cosa rappresentano, al giorno d’oggi, i blockbuster. La risposta naturalmente è presente, ed è palese fin dal principio del film stesso (che non sveliamo) come questo sia affidato soprattutto al contenuto del singolo film. Lo storytelling, negli anni ’20 del 2000, non può che approdare verso quei lidi che lo stesso film svela.
Lidi stra-colmi di rapporto con i fan, di marketing, di iniziative adatte soprattutto a creare hype e a sfruttare gli stereotipi dello spettatore medio. Per cosa? Per far capire a tutti quanto il mercato cinematografico sia ormai stracolmo di narrazioni che ascoltano in primis i propri fruitori e poi, a posteriori, creano il prodotto. Il problema fondamentale è che questi prodotti sono ormai standardizzati, organizzati “con lo stampino”, e non restituiscono la qualità necessaria (salvo eccezioni, ovviamente).
Anzi, il più delle volte spremono uno stesso IP, una stessa saga, uno stesso personaggio all’inverosimile pur raggiungendo risultati immondi. Ed è questa l’altra vera sfida del nuovo Matrix: non scadere di qualità nel suo essere spremuto e rispremuto. Lana Wachowski (questa volta al timone dell’operazione da sola) ci riuscirà?
Andiamo a scoprirlo.
L’Eletto non esiste
Ritrovarsi dopo tantissimo tempo è sempre difficile, ma “Matrix Resurrections” riesce a collegarsi ottimamente laddove il Revolutions aveva posto la sua fine. Siamo infatti a sessant’anni di distanza dagli eventi della fine della trilogia. Thomas Anderson (Keanu Reeves) è il creatore della serie di videogiochi “The Matrix“, basata sui suoi deboli ricordi come Neo.
La sua vita scorre con il pressing del suo capo, tale Smith (Jonathan Groff), che vorrebbe che mettesse in produzione il quarto capitolo della serie. Un giorno, mentre Thomas è in un bar, incontra Tiffany (Carrie-Anne Moss), madre di due figli, sposata, con cui avverte una connessione insita. Nel frattempo, Una giovane donna di nome Bugs (Jessica Henwick) viene a sapere che il modale sta eseguendo un vecchio codice in un loop, raffigurante Trinity che trova Neo all’interno di Matrix.
Bugs scopre un programma che incarna Morpheus (Yahya Abdul Mateen II), e aiuta a liberarlo prima che il socio in affari di Anderson, Smith, possa cancellare il modale. Dopo aver scoperto la sua posizione, Bugs e Morpheus estraggono Anderson da Matrix e apprendono che Smith è in realtà l’agente Smith.
Da lì in poi, la missione di Anderson/Neo in “Matrix Resurrections” sarà quella di salvare Trinity, imprigionata anch’essa in Matrix. Ciò lo condurrà ad un piano notevolmente complesso che passerà anche dalla conoscenza del famigerato Analista (Neil Patrick Harris), nuovo acerrimo nemico.
La naturale evoluzione delle cose
Lana Wachowski, nei suoi tre Matrix, creava di fatto una linea guida profonda che si intrecciava con la fantascienza all’epoca in voga (cyberpunk), dandole seri risvolti anche socio-politici e digitalizzati. All’alba del 2022, però, tutto questo può apparire obsoleto. Ed è per questo che “Matrix Resurrections” apparecchia praticamente l’unico approdo possibile per il franchise, dopo la trilogia originale.
“Matrix Resurrections“, da questo punto di vista, assomiglia molto ad una seduta effettivamente psicanalitica. La regista si interroga non solo sullo stato di Matrix stesso, ma anche e soprattutto sui sub-prodotti che quest’ultimo ha generato, e constata che questi son diventati più importanti dell’IP stesso. L’immaginario collettivo è preda della ripetizione, ingabbiato in costrutti ciclici che devono diventare obbligatoriamente serializzati per sopravvivere.
Può dunque esistere ancora un contesto/operazione nostalgia come quello creato da “Matrix Resurrections“? Può vivere in un mondo cinematografico simile, senza apparire l’ennesima copia delle operazioni delle major? La risposta è sì, e la chiave è l’ironia.
Il registro del film si fa più assurdo. I quesiti più importanti sono affrontati tramite battute anche abbastanza esplicite affidate a personaggi un tempo fondamentali. Questi ultimi, ora, si dividono tra la strada grottesca e l’over-acting (come il Merovingio di Lambert Wilson) e la falsa filosofia dettata dal sarcasmo (basti vedere la figura dell’Analista di Neil Patrick Harris, perfetta maschera satirica visti anche i precedenti con “How I Met Your Mother“).
Il compito del registro è condiviso con la meta-narrazione, quantomai più funzionale rispetto a tanti altri prodotti visti di recente. Tramite essa, Wachowski crea un blockbuster che deride l’evoluzione stessa del blockbuster e i suoi surrogati. Questi surrogati sono una realtà importante del cinema (e del mondo) odierno: le icone.
Lo svilimento delle icone e il ritorno al passato
In “Matrix Resurrections” la riflessione non resta ancorata solamente al lato produttivo. Anzi. Essa si estende abbracciando anche l’iconografia del cinema moderno, che si trasforma in iconoclastia. Infatti, appare palese la riflessione effettuata sul Neo di Keanu Reeves (notevolmente maturato dai primi film del franchise).
La figura del programmatore abbraccia il parossismo nel momento in cui Wachowski crea attorno ad essa una falsa mitologia. Questa è così tanto forte da rendere il personaggio materia di studio per un fandom completamente assuefatto. Questo risvolto è sintomatologico di un cinema ormai drogato di personaggi-simbolo, emblemi di una realtà legata non più alle narrazioni, ma alle figure in gioco.
Questo naturalmente crea i presupposti per una riflessione anche sulle logiche di mercato, che ormai sono il vero motore per i film e per le loro creazioni. La regista, così, permette di dare una bussola effettiva per il panorama cinematografico odierno. Al contempo, però, tradisce questi sottotesti creando un film eccessivo, fuori dal tempo, che per la prima volta nel franchise esplicita ulteriormente la violenza tramite il suo gusto coreografico/action, richiamando John Wick.
“Matrix Resurrections” è un prodotto che non ha paura anche di deridere stereotipi di case più grandi come la Marvel tramite i suoi “cavalli di battaglia”. Insomma, è un film commerciale apparecchiato appositamente per deridere i film commerciali odierni.
Nonostante ciò, resta fedele a ciò che ha sempre contraddistinto il franchise, esplicitandolo con il lato tecnico.
Le coreografie e gli aggiornamenti
“Matrix Resurrections” è un film che si mostra fintamente vecchio. La componente digitale è rimasta fedele alla trilogia originale, così come le coreografie vivono del loro solito eclettismo. Il tutto, però, risulta intelligentemente aggiornato dalla regista, che rimaneggia gli effetti speciali dandogli un sapore ben più moderno e addolcendo anche lo sfarzo dell’estetica registica. In questo modo, si crea un prodotto in ottimo equilibrio tra pomposità e asciuttezza.
Le coreografie vivono del loro solito eclettismo, con un occhio sia al cinema orientale (come la trilogia originale) che all’iper-realismo (implementato anche tramite una regia molto più ritmata) del nuovo cinema action. In più, aggiorna la mitologia della saga con l’ingresso calibrato di nuovi personaggi. A svettare su tutti è Yahya Abdul-Mateen II, che si mostra incredibilmente carismatico nel sostituire l’iconico Laurence Fishburne, non facendolo rimpiangere.
Altre new entry degne di nota sono senza dubbio lo sfaccettato e inquietante Jonathan Groff (che tiene fede alle promesse), personaggio ambiguo di ottimo calibro, e Jessica Henwick. Quest’ultima si rivela incredibilmente interessante e misurata nel suo ruolo.
Poi naturalmente ci sono loro due, i due “colossi”. Keanu Reeves e Carrie-Anne Moss recuperano il loro status di duo imprescindibile e regalano ancora una volta emozioni e affiatamento. Il tempo, per loro, sembra non passare mai. E anche nei nuovi ruoli di Thomas e Tiffany, mostrano un attaccamento alla saga invidiabile. Sono loro l’anima vera di “Matrix Resurrections“, ed è soprattutto grazie a loro che il progetto vive.
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