13 Maggio 2015 - 13:08

Mia Madre e il cinema di Moretti a Cannes

mia madre

Mia Madre di Nanni Moretti è in concorso a Cannes: il suo dodicesimo film, 4 anni dopo Habemus Papam, durante le cui riprese il regista perse la madre. Per l’occasione ZonMovie ne ripercorre la carriera

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Mia Madre, il nuovo film di Nanni Moretti, verrà presentato al Festival di Cannes, che apre oggi, dopo aver ottenuto anche ben 10 Candidature in previsione dei David di Donatello 2015. Per celebrare Moretti e il suo cinema, in quest’articolo si analizzerà e si ripercorrerà in breve la sua filmografia.

Io non sono un autarchico, primo lungometraggio di Moretti

Io non sono un autarchico, primo lungometraggio di Moretti

Giovanni “Nanni” Moretti (Brunico, 19 agosto 1953) è un regista politico, un attore urticante, un lungimirante sceneggiatore e un intransigente produttore cinematografico italiano.

Fin dagli esordi la sua è una regia essenziale, ai fini di porre l’accento sulle problematiche della società italiana, che negli anni ci ha proposto in una chiave sarcastica e schietta: le disillusioni della generazione post-sessantottina, la mediocrità della classe dirigente, la crisi d’identità della sinistra, l’inetta volgarità mediatica, l’indifferenza degli italiani e il cinismo di alcuni di essi.

Nella sua filmografia fino agli anni ’90, anni di crisi politica, Moretti si era dedicato ai risvolti sociali, traslandovi le proprie manie e il proprio pensiero, nell’alterego Michele: un disilluso, percorso da un autentico, viscerale e sottile sarcasmo, un non giovane e un non adulto che si interroga sulle colpe dei padri, che mostra le incapacità e le difficoltà relazionali del nostro tempo.

Palombella Rossa del 1989

Palombella Rossa del 1989

Io non sono un autarchico è il primo lungometraggio del 1976, sulle disillusioni sessantottine, girato in super-8; seguono le considerazioni sul tema del lavoro e delle sue conseguenze relazionali in Ecce Bombo (1978), e quelle sul limite della cultura italiana, di un’arte spuria e di gente priva di contenuti, denunciati in Sogni D’Oro (1981). Poi nel 1984 esce Bianca, in cui un Michele, ormai solitario e nevrotico, affoga i suoi dubbi in giganti bicchieri di nutella e sacher torte.

Nel 1985 La Messa è Finita, sulla scia di Bianca, è un’amara riflessione sui legami di coppia e la ricerca della felicità, in cui Moretti, vincitore dell’Orso d’Argento al Festival di Berlino, è un naif Don Giulio che ritorna a Roma, dove è nato e cresciuto, per rendersi conto dell’infelicità che lo circonda e a cui non sa porre rimedio: ciò incrina le sue certezze.

Quattro anni dopo arriva Palombella Rossa, acuta metafora sulla crisi di identità del PCI a fine degli anni ’80, resa con la storia di un onorevole comunista che è anche un giocatore di pallanuoto, che perde la memoria infortunandosi durante una partita, cosa che ne determina la recessione politica e sportiva; infine La Cosa del 1990, un docu-film sulla trasformazione del PCI.

La Stanza Del Figlio del 2001

La Stanza del Figlio del 2001

Poi nel 1993 Moretti gira l’intimistico Caro Diario, seguito nel 1998 da Aprile, molto più profondo del primo. Il 2001 è l’anno dell’osannato e angoscioso La Stanza del Figlio, in cui Moretti è Giovanni, uno psicanalista atterrito dal dolore per la morte del figlio Andrea.

Dopo Il Caimano, film provocatorio del 2006, che scuote la coscienza civile sul ruolo socio-politico di Berlusconi, e Habemus Papam (2012), in cui Moretti mostra ancora una volta la sua lungimiranza nell’annunciare la rinuncia di un Papa «al ministero di vescovo di Roma, successore di san Pietro», in Mia Madre, per la prima volta, il regista romano sta al margine della scena, quasi fosse troppo toccante o vero per potersi mettere in ballo. Nanni Moretti si offusca per far spazio alla narrazione, che parte da un dato reale: la perdita della madre durante le riprese di Habemus Papam.

Forse proprio perché in parte biografico e palesemente doloroso, in Mia Madre Nanni Moretti non si prende la scena, non costruisce l’ennesimo film sulle proprie manie, ma riesce in un ritratto delicato e sincero. Un film intimo senza orpelli esterni sulla tragica verità della sofferenza: un aspetto analogamente trasposto cinematograficamente, nel momento in cui, Margherita, protagonista-regista, alla notizia della madre esanime (interpretata da una grandissima Giulia Lazzarini) dirige la prima scena perfetta del suo film, lo stesso che le aveva creato non pochi dubbi e ripensamenti nei giorni precedenti.

Sbiadite e sopite anche le idiosincrasie morettiane, quasi sorpassate per un “film adulto”, con più consapevolezze, anche se non apprezzato da tutta la critica. Al solito Moretti parte da sé per raccontare gli altri, ma questa volta non dirige un film generazionale: Mia Madre è un film universale, un manifesto dell’inadeguatezza, di quella ciclica incapacità di affrontare la vita e la morte. L’intima elaborazione lutto e della perdita è la chiave di lettura di un film “metacinematograficamente” personale, in cui non c’è retorica ma solo la lucida e onesta analisi del dolore, sulle note di Brian Eno, delle bellissime Baby’s coming back to me di Jarvis Cocker e Famous Blue Raincoat di Leonard Cohen.

Scena tratta da Mia Madre

Scena tratta da Mia Madre

Margherita Buy, che ha sostituito nel tempo Laura Morante, in questo film, dopo le ultime appiattite interpretazioni, ritorna sugli schermi in uno stato di grazia. Già diretta da Moretti ne Il Caimano e in Habemus Papam, la Buy interpreta qui una regista che si chiama proprio come lei, che non è solo la protagonista di Mia Madre, ma rappresenta l’alterego femminile di Moretti, parte che sembra esserle congenita.

Margherita è una regista in crisi, una figlia non rassegnata ad accudire una madre malata terminale, un’assorta e ansiosa madre single: una donna sola, che rifiuta la realtà, che in essa si sente perduta, che per la prima volta acquista consapevolezza di sé e della propria identità.

Margherita Buy e John Turturro in Mia Madre

Margherita Buy e John Turturro in Mia Madre

In Mia Madre ricorre il sogno/incubo, quale presa di coscienza dell’esistenza, della propria vita e di se stessi, un’autoanalisi inconscia: Margherita sogna la madre, sogna se stessa da ragazzina, sogna il fratello Giovanni, interpretato da Moretti.

“Ma perché continuo a ripetere le stesse cose da anni … tutti pensano che io sia capace di capire quello che succede, di interpretare la realtà, ma io non capisco più niente”.

Indiscutibile il rimando al momento di vita attraversato negli ultimi anni dal vero regista della storia: non abbiamo mai visto un Moretti così vero e intenso, sia nella sua assenza attoriale, che nella presenza registica, sia nel suo ruolo marginale che nei suoi silenzi.

Impeccabile anche John Turturro nella parte di un attore americano narciso e negato, che vanta un’inesistente collaborazione con Stanley Kubrick, rivelando presto i suoi problemi di memoria, e che estenuato esclama: “Voglio tornare alla realtà”. Quest’ultimo grido potrebbe essere una nuova idiosincrasia morettiana, rivolta al cinema, forse insito nelle sue stesse pellicole, in cui troppo spesso si è rifugiato facendone un manifesto della propria vita e della sua onestà intellettuale.

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