Michelle Obama, il sogno di speranza di un’America invisibile
Nel 2008, l’elezione del primo presidente afroamericano creava l’illusione di un’America post- razziale. Nel suo documentario, Michelle Obama riflette sulla sua storia come ragazza nera riuscita ad imporsi sull’élite americana bianca e privilegiata
La vicenda di George Floyd, un cittadino afroamericano ucciso per mano della polizia di Minneapolis, ha scatenato un’ondata di ribellione in tutta l’America. Un Paese ancora attonito e sconvolto, che domanda giustizia, e che ora è pronto a combattere per un futuro migliore. Un futuro in cui il colore della pelle non definisca più il valore di una vita umana.
George Floyd è solo uno dei tanti troppi nomi, vittima della “white supremacy”. Una lista di nomi che si è allungata anno dopo anno, avvolgendo nel silenzio totale l’ingiustizia subita dalle vittime, che solo ora stanno vedendo denunciati gli abusi di potere a cui hanno dovuto adattarsi.
Quanto avvenuto in questi giorni in America è solo il retaggio di una storia durata secoli. L’esperienza nera americana trova il principio d’inizio in una fine: la fine della schiavitù sancita ufficialmente dal XIII emendamento della Costituzione. Ma ci vorrà ben più di una legge per riportare gli schiavi d’America dalla servitù alla libertà. Sebbene sulla carta l’America abbia dato ai neri cittadinanza e diritto di voto, per la maggior parte di loro, la via continua identica a prima. E così sarà ancora per generazioni.
Quella della popolazione afroamericana è stata una battaglia per la libertà e il riconoscimento dei loro diritti. Diverse personalità che hanno vissuto l’umiliazione e la ribellione, ma che hanno anche trovato il coraggio, l’ispirazione e la speranza. La storia delle persone di colore in America sembra essere una storia costellata da continue rivendicazioni e lotte, e ognuna di esse ha contributo al raggiungimento di grandi tappe e conquiste.
Le elezioni che hanno cambiato la storia
Il 4 Novembre 2008, tutto il mondo aveva gli occhi puntati sull’America, dopo aver seguito assiduamente le campagne elettorali; in attesa di vedere chi tra i due candidati, John McCain e Barack Obama, sarebbe diventato il futuro presidente degli Stati Uniti. Si trattava di elezioni di portata storica, paragonabili a quelle del ‘32 quando l’America fece la grande svolta dopo la Depressione. Un presidente che avrebbe avuto il compito di guidare l’America attraverso la peggior recessione finanziaria dell’epoca.
Inaspettatamente, ma non troppo, vince il democratico Barack Obama. Nel corso della campagna presidenziale, Obama era divenuto il portavoce del desiderio di rinnovamento che stava animando l’America con il suo “Yes, we can”.
E in quel 2008, in un Paese colto nel suo momento più tragico dalla caduta di Wall Street del ‘29; l’elezione di Obama e la sua speranza di rimettere in moto gli Stati Uniti sembrava di nuovo dare vita al sogno americano che era stato offuscato dai due mandati di Bush, iniziati con la catastrofe dell’11 Settembre e che si concludevano con il crollo dei mercati finanziari e dell’economia globale.
La sua candidatura ha fatto credere ad alcuni che vi fossero le possibilità di creare una nazione non più divisa, che vi fossero reali possibilità di creare un America post-razziale. Gli americani avevano fatto una scelta rivoluzionaria, e per la prima volta gli Stati Uniti hanno alla loro guida un presidente afroamericano. E Michelle Obama diventa la Prima First Lady di colore.
Becoming Michelle
Lei stessa riconosce la portata di quest’evento nel suo documentario Becoming, disponibile su Netflix. In poco più di un’ora e mezza, Michelle ripercorre la sua storia, le sue origini; quelle di una ragazzina di colore del South Side di Chicago. La sua famiglia apparteneva alla tipica comunità della classe lavoratrice. Ambiziosa e brillante, si conferma come una delle migliori studentesse del suo liceo, tanto da diventare capo tesoriera di classe.
Michelle ispira a proseguire gli studi ed essere ammessa a una delle prestigiose università della Ivy League (la lega delle otto facoltà americane più prestigiose): Princeton. All’orientamento per gli studenti, una professoressa le dice che il suo desiderio era eccessivo, che aveva aspettative troppo alte. Per lei quelle parole sono un duro colpo. Ma decide di non arrendersi e riesce a iscriversi alla prestigiosa università. La volontà di eccellere e di raggiungere la perfezione è sempre stata una costante nella vita dell’ex First Lady, incoraggiata dalla sua famiglia. Sopratutto dal nonno, Dandy, un uomo di profonda cultura a cui non era stata concessa la possibilità di andare al college per ragioni razziali e di classe sociale.
L’essere afroamericana influenza sotto vari aspetti la vita di Michelle Obama. Negli anni ’70 Chicago, così come altre città americane,affrontava la piaga di un razzismo velato. Via via che le famiglie nere arrivavano in un quartiere, quelle bianche se ne andavano per paura. Vendevano in fretta le loro case per poi scappare verso zone residenziali più lontane. L’America era spaccata in due: quella dei bianchi e quella dei neri. Quelli che appartenevano e quelli che non appartenevano ed erano fuori posto.
Quando Michelle arriva a Princeton, è una dei pochissimi studenti appartenenti a una minoranza. Scopre che una delle sue coinquiline se n’è andata perché la madre era “terrorizzata dal fatto che fosse nera“. Pensava che la figlia fosse in pericolo – come lei stessa racconta. Un’esperienza a cui non era preparata. Andare a Princeton significherà d’ora i poi confrontarsi con le persone che la ritengono fuori posto.
Ci riuscirà. Ottiene la laurea in giurisprudenza a seguito dei brillanti studi condotto a Princeton e poi ad Harvard. Inizia a lavorare come avvocato associato nello studio legale Sidley Austin di Chicago specializzato in diritto societario. Qui fa un incontro che le cambierà la vita; quello con Barack Obama, che aveva iniziato una stage estivo nello stesso studio.
Con molta ironia Michelle racconta le loro prime conversazioni e il primissimo incontro. Una scintilla che culminerà in un matrimonio nel 1992 con la nascita delle due figlie Malia e Sasha. Seguono le prime difficoltà: Barack Obama è un uomo carismatico e affascinante,che pensa in grande e Michelle non vuole ridursi a un’appendice dei suoi sogni. Si arriva alla campagna del 2008, in cui per la prima volta si ritrova vittima delle critiche dei giornali e dei media, che la accusavano di essere una donna nera arrabbiata.
Nel momento in cui Barack diventa presidente e Michelle Obama assume il ruolo di First Lady, lei sa che la sua vita è cambiata per sempre e non tornerà mai più la stessa. Per i successivi otto anni, con il rinnovo del secondo mandato del marito, tutti si aspettano il massimo dal primo Presente e dalla prima First Lady di colore.
Impara a convivere con gli obblighi che tale titolo impone. Impara a convivere con la consapevolezza che d’ora in poi dovrà essere sempre e comunque al centro dell’attenzione. D’ora in poi ogni movimento, ogni battito di ciglia verrà analizzato. Ogni sua mossa e parola è sotto gli occhi di tutto il mondo. ” La tua vita non è più tua”- riassume semplicemente.Con lei la Casa Bianca diventata la Casa del popolo.“Our House, people House”. Non si limita a sedere a fianco del marito, ma reinveta il ruolo, promuovendo e incoraggiando iniziative legate al campo dell’istruzione, dell’arte e della salute.
Io sono la ex First Lady degli Stati Uniti e anche la discendente degli schiavi
Gli Obama vivevano con la consapevolezza di essere loro stessi un’istigazione. In un Paese in cui il razzismo è un problema che affonda le sue radici da più di tre secoli, molti non erano pronti all’idea che una famiglia nera occupasse la Casa Bianca.
Come spiega Mario Del Pero, professore di Storia americana all’Università Sciences Po di Parigi, la violenza di Minneapolis è anche la risposta ai mandati di Obama, il presidente nero che ha amplificato le paure dell’America bianca. Concorda Roberto Festa,giornalista presso Radio Popolare e il Fatto Quotidiano: “L’elezione di un presidente afroamericano ha provocato una reazione nelle parti della società razziste, sono aumentati gli “hate crimes” e alla fine anche il numero di neri morti. Dall’altro lato, però, Obama ha avuto una funzione positiva, soprattutto sulle nuove generazioni di afroamericani. Oggi un ragazzino afroamericano che vive in un sobborgo di Cleveland sa che potrebbe diventare presidente. Questo porta anche all’ emergere di rivendicazioni dei diritti in maniera più forte.”
Per alcuni, infatti, quello che accadde nel 2008 non verrà mai dimenticato. Lo dimostra una scena del documentario, in cui Mrs. Obama incontra un gruppo di anziane afroamericane. Raccontano, con le le lacrime agli occhi, che quel 4 Novembre del 2008 era un giorno a cui non avrebbero mai pensato di poter assistere. Generazioni di afroamericani, riuniti davanti allo schermo di un televisore, che guardavano,per la prima e finora ultima volta, un membro della loro comunità presiedere la Casa Bianca. Un evento che ha cambiato tutto.
Il documentario segue Michelle Obama tra convention,incontri con associazioni, passando per le interviste con presentatori del calibro di Oprah e Stephen Colbert. Ogni volta accorrono centinaia di persone diverse per nazionalità, genere, colore della pelle ed età che la guardano e la ascoltano, stupite e commosse. Perché lei ce l’ha fatta e il suo altro non è che un messaggio di speranza. Ma Michelle Obama ricorda che non si può aspettare che il mondo sia giusto per iniziare a sentirsi visibili. Siamo ancora lontani da ciò. Non succederà con un presidente di colore, nè con una votazione.
E la sua esperienza merita di essere raccontata in un momento come questo, in cui l’America è di nuovo lacerata dal problema della violenza razziale. Perchè in un qualche quartiere popolare abbandonato e malfamato, vi si può nascondere una ragazzina di povera famiglia, vittima di una discriminazione per il solo colore della pelle, che ascoltando la sua storia potrà sognare di vivere anche lei quell’american dream, di poter realizzare qualcosa di memorabile e di poter provare, un giorno, la sensazione di sentirsi parte di qualcosa. Di poter contare su qualche sostegno e di non sentirsi più invisibile.
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