4 Maggio 2015 - 10:38

“Non parlo di cose che non conosco”, l’esigenza della disciplina

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“Non parlo di cose che non conosco” è la famosa scena tratta da Sogni d’oro di Nanni Moretti. Un elogio alla specificità della conoscenza, che esprime il bisogno di ristabilire i ruoli della cultura italiana 

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Sogni d’oro, terzo film di Nanni Moretti, del 1981. Michele Apicella, alter ego dell’autore romano, è un giovane regista che tenta di realizzare la sua terza opera. Sogni e frustrazioni sono il miscuglio di sensazioni che prova il protagonista, cedendo al suo lato schizofrenico, che comincia a delinearsi per esprimersi meglio in Bianca.

Non parlo di cose che non conosco” si può definire una sorta di “manifesto” che dichiara apertamente il dissenso di Nanni Moretti verso la struttura culturale italiana, esprimendo la crisi del linguaggio e della forma nell’incapacità di scegliere un genere in cui collocare il suo film. Comico e ansioso, Sogni d’oro svela i tratti del regista, che sta diventando autore, attraverso un mimesi a scatti ed esasperata. Urla che diventano delle verità assordanti, in cui s’identifica una generazione ribelle che ha il dovere di riscrivere una storia nuova del cinema, inserito in un contesto sociale frantumato e banalizzante.

Non parlo di cose che non conosco

Non parlo di cose che non conosco, scena tratta da Sogni d’oro

Non parlo di cose che non conosco” è la critica aspra verso coloro che creano opinione pubblica, pigri e piatti giudicano perché si sentono in dovere di farlo, mossi da interessi vari (politici, ideologici, meschini…) assumono il volto falso dell’amico che consiglia la scelta giusta. Tutti si sentono in diritto di parlare di cinema, per snobbarlo e strumentalizzarlo. Nanni Moretti, nel pieno della sua crisi artistica (finzione o verità?), afferra il cinema da un punto di vista nuovo, destabilizzando anche lo spettatore.

Il “monologo” è come un’autoanalisi, in cui Michele Apicella proietta la sua frustrazione di uno sguardo innovativo, interessato a trovare la forma artistica adeguata alla rappresentazione della realtà sociale e politica italiana, ma bloccato dalla ricezione lenta e stereotipata, ritardata e incurante della classe intellettuale, responsabile poi di condizionare l’arte italiana e il pubblico.

«Io non parlo di astrofisica, algebra, neurologia, cardiologia…non parlo di cose che non conosco!», perché però tutti si sentono liberi e capaci di parlare di cinema?

Moretti ha già compreso che la mancanza di contenuti  e di linguaggio appropriato dell’arte in Italia, in particolare del cinema, sia legata indissolubilmente alla critica da salotto, dove registi e attori devono essere ispezionati e inseriti nel contesto culturale attraverso formule convenzionali, a cui devono rifarsi poi tutti gli altri. L’acutezza di Moretti sfiora un altro punto interessante: perché il cinema è uno di quei mezzi di espressione che può essere giudicato da chiunque? La necessità della conoscenza è un’esigenza intellettuale e artistica per Nanni, quando percepisce che il linguaggio con cui prova a raccontare la realtà, viene semplificato e derubato della sua complessità semiotica.

morettiLa disciplina, quindi. Non è dichiarata apertamente, ma si può intuire dallo sfogo di Michele Apicella. Un corpo insicuro, limitato dal parere, che deve imparare a condizionarsi per essere compreso e accettato. In questa situazione d’insofferenza e repressione, che esplode in “attentati” alla quiete (quindi alla normalità e alla rassegnazione), Moretti rivendica l’esercizio alla disciplina, come strategia che ristabilisce man mano il ruolo di ognuno all’interno della società.

Essere detentori di una “materia” significa conoscerne la sua specificità, perché non si può parlare, quindi comunicare attraverso un linguaggio condiviso, del valore di una forma di cui non si ha competenze. La crisi del sistema culturale, in Italia (non è così lontano da noi Michele Apicella!), nasce dalla confusione e smaterializzazione dell’epistemologia delle forme di comunicazione, dei linguaggi e dell’arte.

Non parlo di cose che non conosco è la maturità di un uomo che sa di non sapere per dare senso al suo percorso maieutico, come l’antico e moderno Socrate poneva come punto di partenza della sua esperienza della Verità.

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