25 Aprile 2016 - 13:23

Nymphomaniac II, misoginia o misantropia?

Nymphomaniac II è il racconto dell’irrazionale del corpo che imprigiona la mente, scontrandosi con la presunta razionalità che vincola l’Altro. Non un’opera misogina ma un’opera sulla misantropia postmoderna

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In Nymphomaniac II la poetica di Lars Von Trier è compiuta per mezzo della parola, delle punizioni corporali e delle azioni nel presente, più che nei fasti carnali e nell’estetismo del primo Volume.

Nymphomaniac: Joe cita Thérèse di BalthusAlla ricerca estetica di Nymphomaniac I – con citazionismi dal mondo dell’arte, in cui una Joe adolescente (Stacy Martin), nel bisogno di esperire tramite la carne, ricorda la lolita Thérèse ritratta dall’artista polacco Balthus – si contrappone l’apologetica di Nymphomaniac II.

 

Se non avete compreso fino in fondo il corpo fisicamente insensibile che conclude il primo Volume, con l’emozionalmente lacerante «Non sento nulla», Nymphomaniac II vi mostrerà la ricerca della liberazione dalla sua prigionia e dalla sua sconnessione emotiva. Infatti il nuovo capitolo della parabola erotica, firmata Lars Von Trier, vede la ninfomane Joe trasformarsi nel corso della narrazione da carnefice a vittima del desiderio, ma sempre quale donna libera di scegliere: a riprova che Lars può essere tutto quello che vuole, tranne che un misogino.

Scena tratta da Nymhomaniac IIDopo le annunciate versioni hard/soft destinate alle diverse distribuzioni e i cut per i Festival; dopo l’incertezza sul finale, le censure e le auto censure; dopo una campagna pubblicitaria laconica, l’ultima opera del fondatore di Dogma95 è un ennesimo esperimento cinematografico e concettuale. Nuovamente Lars Von Trier ci pone dinanzi due archetipi: dopo Lei/Lui di Antichrist, dopo le antitetiche sorelle di Melancholia, il dialogo di Nymphomaniac vede la contrapposizione tra Seligman (Stellan Skarsgard), l’uomo, esempio integerrimo, vergine, dotto, quasi pretesco, espressione fisica della razionalità, e Joe (Charlotte Gainsbourg), la donna, spregiudicata e istintiva, emblema dell’irrazionale.

 

Joe in Nymphomaniac IIIl flusso di coscienza di Joe viene arginato da una meticolosa ricognizione da parte di Seligman: un dialogo che si consuma in una spoglia stanza tra il ricordo diaristico e la metafora dal mondo della pesca.

Nel dibattersi tra inconscio e ragione, tra corpo e intelletto, si sviluppa un’indagine sessuale sull’Altro: una mutevole dicotomia che si ribalta nel finale. Un resoconto nichilista di una dipendenza, che getta uno sguardo sui rapporti umani e l’insopportabile solitudine dell’essere.

In Nymphomaniac II il tema centrale risulta essere in realtà la “violenza”: degli affetti, delle assenze e delle presenze, nella propria natura finzionale. Non un’opera misogina ma un’opera sulla misantropia postmoderna.

Joe in Nymphomaniac è la controparte femminile di Brandon Sullivan di Shame (2011) di Steve McQueen. Se Brandon non sa gestire le proprie pulsioni se non con il sesso, Joe ha consapevolezza di sé e della sua ninfomania: l’ha accettata, ci convive.

In questo secondo volume però il personaggio interpretato, in maniera “anestetizzata”, da Charlotte Gainsbourgh – di solito quasi impeccabile – intraprende un viaggio di espiazione per sottrarsi alla prigionia del suo corpo.

Lars Von Trier - Nymphomaniac tree

C’è un recondito, legato alla prima adolescenza, che la porta a “sentire” solo attraverso la carne. Lars Von Trier ce ne parla, ma non insiste. Non servirebbe. Non si può capire il “Perchè?“, se non esperendo sulla propria pelle. È solo una domanda dettata dal desiderio morboso del pettegolezzo. Il sesso e i gusti sessuali non li puoi spiegare mai realmente, mai fino in fondo. Come si potrebbe con le sole parole? È istinto. È pulsione. Ci appartiene. Possiamo ignorare sesso e corpo, i nostri più grandi tabù, possiamo combattere loro e noi stessi, o possiamo accettarci, a partire dal non etichettare gli altri. 

Nymphomaniac IINel ripercorrere la sua storia, Joe, attraverso il ricordo visivo viene rediretta ad un percorso di riappropriazione di sé, ma senza negare o negarsi. Bisognerebbe ritrovare lo stesso spudorato coraggio di Joe, e quindi del genio di Lars Von Trier, per non soccombere agli altri e alla loro visione di noi.

Infatti in Nymphomaniac II la ricerca di una moralizzazione da parte del pubblico viene connotata negativamente: Seligman è l’alterego dello spettatore, giudice immorale di un’auto-punizione alla propria esistenza e alla sua mercificazione, nel segno di un sempre più fugace appagamento. Quale potrebbe essere altrimenti la giustificazione che ha portato Joe ad aprirsi ad uno sconosciuto in una confessione senza remore? E con quale risultato?

Locandina Nymphomaniac

Locandina Nymphomaniac

Von Trier ci propone un esempio femminile, nella sua verità, che sconfina l’immagine di perfezione di barbie anestetizzate e/o di pie genitrici. In Nymphomaniac II, Lars va oltre, attestando l’ipocrisia che vige sulle relazioni umane. Infatti il finale ribalta la prospettiva, e la, tanto celebrata, razionalità di Seligman sfocia nel celato desiderio di un’istintività primordiale, sopita negli anni, che poi si rivelerà in tutta la sua violenza.

Alla fine, in un inaspettato colpo di scena, davanti ad uno schermo oscurato udiamo uno sparo e delle urla: per la prima volta un’emozione esternata, un sentire fuori, un sentire che non passa dal corpo.

Il finale, in cui si dissolveranno i pregiudizi e verrà sovvertito l’oggetto della morale – in un tragico sberleffo: l’incontro di due persone che non hanno mai provato piacere – rappresenterà l’apologia di Joe a se stessa: nuovamente ad un bivio, dovrà scegliere di porre fine ad una vita, per chiudere il circolo vizioso di cui è preda. Una ribellione, il tentativo di liberazione, un nuovo inizio. Forse l’espiazione compiuta.

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