29 Aprile 2016 - 09:00

Psycho: tutti i perché del successo del film

psycho

A trentasei anni dalla morte del maestro del brivido, ripercorriamo i motivi del successo planetario di Psycho: una pellicola che è stata imitata, replicata e lungamente parodiata, ma mai raggiunta per l’alta qualità delle sue scene, il senso del brivido e l’eccezionale fotografia

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Siamo arrivati, nostro malgrado, ad un’epoca veramente particolare, almeno per quanto riguarda la cinematografia.

Psycho

Il teschio sul volto di Norman Bates…senza effetti computerizzati!

Oggi, per fare un film, è sufficiente avere un programma come Adobe After Effects, uno dei migliori programmi disponibile in commercio per gestire gli effetti speciali; un computer con un buon processore, e pure un regista indipendente con pochi soldi è in grado di tirar fuori un prodotto di buona qualità che riesca ad incuriosire lo spettatore.

Grazie ad internet, poi, è diventato più facile farsi conoscere e mostrare al mondo le propria “creazioni“, riuscendo così ad imboccare in fretta quella strada del successo, che ha permesso a vari blogger e youtubers di farsi rapidamente un nome.

Cinquant’anni fa, invece, le cose erano molto diverse, e per diventar famosi o per restare sulla cresta dell’onda era necessario produrre prodotti sempre di un certo livello, specialmente per chi, proprio come Alfred Hitchcock, si era già guadagnato il nomignolo di “maestro del brivido“.

Psycho oggi è considerato uno dei film più importanti del regista, ma all’epoca, quando la pellicola usci nelle sale, molti ne furono turbati, e addirittura il New York Times considerò il film come una “macchia” nella carriera del regista inglese.

La ragione di tali critiche era da ricercarsi nel fatto che il film raggiungeva vette di violenza inaspettate per quei tempi, una cosa peraltro non abituale per Hitchcock ed infatti pure il critico cinematografico italiano Nino Ghelli scrisse: «Nessuna ricerca di umanità nei personaggi, né di una verità drammatica nelle situazioni narrate, nessuna indagine di una condizione umana o di un ambiente storico: soltanto il futile, accademico, e spesso irritante giuoco di intelligenza condotto fino allo spasimo, e sostenuto purtroppo dai più accademici e logori convenzionalismi»

In realtà, Psycho è un film che, pur essendo ispirato al caso terribile di Ed Gein, meglio noto come “il Macellaio di Plainfield” ed uno dei serial killer più sanguinari e depravati d’America, rappresenta soprattutto un periodo complesso della vita di Hitchcock.

Quando il film fu prodotto, infatti, il regista era appena uscito da successi importanti come quello di “Intrigo Internazionale” e di “La Finestra sul Cortile“, ed aveva bisogno di una idea nuova per confermarsi, giacché in quel periodo internet non esisteva, e certo ad Hitchcock non bastava servirsi del suo nome.

Psycho

Psycho

A lungo il maestro faticò a trovare un soggetto adatto per il film, finché non scoprì il libro omonimo di Robert Bloch.

Il libro diede ad Hitchcock la possibilità di lavorare per molto tempo sulla figura di Norman Bates, modellando il personaggio che stava nascendo sulla base di tanti dei suoi conflitti interiori, in primis quello del rapporto tra lui e la moglie Alma, che in Psycho viene ridiscusso nei termini del rapporto tra Bates e la madre.

Talmente preso da questo soggetto, Hitchcock finì addirittura per autofinanziarsi, giacché molte delle case di produzione osteggiarono il film. E persino quando Psycho fu completato, il maestro ne apparve poco soddisfatto al punto da volerlo rivedere e perfezionare fino a renderlo perfetto con l’inserimento della mitica colonna sonora che poi lo rese immortale.

Purtroppo per Hitchcock, Psycho dovette pure attendere affinché i critici comprendessero che in questo film c’era tutto del maestro: le sue paure, i suoi drammi personali, il suo voyeurismo ed è per questo che, all’inizio, chi pensava ai film solo in termini di successo al botteghino faticò inevitabilmente a capire che la cinematografia poteva essere anche un modo per mettere su pellicola i propri sentimenti e che dunque Psycho era destinato a diventare una specie di spaccato personale della crescita intellettiva e cinematografica del maestro.

Quando ciò accadde, il film divenne ovviamente una pietra miliare della cinematografia, e pur non avendo prodotto nulla in termini di arte in sé (quindi forse Monicelli aveva ragione quando diceva che “Il cinema non crea arte, ma al massimo cultura“), stimolò la riflessione culturale dei critici che, ancora oggi, Psycho se lo vanno a studiare, e registi di almeno due generazioni hanno provato invano ad imitarlo.

Noi vi consigliamo di vederlo se non lo avete ancora fatto, o se avete messo “Psycho” troppo frettolosamente nella classifica delle “Cose che vedremo”, perché, come scrisse il critico Callenbach «Il film è fatto talmente bene che può indurre il pubblico a fare qualcosa che ormai non fa più – urlare verso i personaggi, nella speranza di salvarli dal destino che è stato astutamente lasciato intuire li stia attendendo».

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