27 Maggio 2015 - 09:52

Quale futuro per l’Europa?

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Le recenti elezioni politiche ed amministrative hanno generato situazioni che minano l’intero impianto internazionale. Quale sarà il destino dell’Europa da qui ad un mese?

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L’Unione Europea, secondo la sua attuale formazione, nasce nel 1992 grazie al trattato di Maastricht con il fine di favorire la libera circolazione di persone, merci, servizi e soprattutto per promuove la pace, i valori e il benessere dei suoi popoli e lotta contro l’esclusione sociale e la discriminazione.

Il periodo di crisi economica, e le conseguenti politiche di austerity, hanno creato, però, una situazione paradossale in cui emergono le differenze fra gli Stati membri e le “lotte per la sopravvivenza” negli stessi.

Infatti, il nobel per la pace del 2012 (con la motivazione di aver evitato conflitti negli ultimi sessant’anni), negli anni ha fatto venir meno quel valore solidaristico che ha caratterizzato la struttura, generando Stati di serie A e di serie B.

Le ultime elezioni politiche ed amministrative (in Gran Bretagna, Polonia e Spagna) e la situazione greca hanno messo in moto una serie di meccanismi che potrebbero facilmente generare un effetto dominio in grado di minare le basi della stessa Europa.

Il caso emblematico di questi mesi è senza dubbio la Grecia: sin dall’elezione di Tzipras come Primo Ministro(26 gennaio 2015) si sospettava una rapida uscita dello stato ellenico dall’Unione, data la forte crisi in atto nel Paese.

La questione, però, è divenuta ancora più intricata a causa del tentativo del governo di Syriza di appianare le divergenze, ed il debito, attraverso un dialogo con i grandi dell‘UE e il FMI.

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Le dichiarazioni dei giorni scorsi (che svelavano l’impossibilità greca di colmare il debito a causa di mancanza di fondi) e l’atteggiamento “collaborazionista” del Ministro dell’Economia Varoufakis (che ha anche proposto un’imposta sui prelievi dagli sportelli) portano ad uno stato di totale confusione da cui dipendono i destini di un’intera organizzazione internazionale.

Altro discorso è quello di Spagna e Polonia; le recenti elezioni hanno posto le fondamenta per un epocale cambiamento che conduce ad un futuro lontano da quella che è l’organizzazione europea attuale.

Il trionfo di Podemos da un lato e l’affermazione dell’ultranazionalista Duda dall’altro, evidenziano il sentimento avverso, da parte delle nazioni maggiormente colpite dalla crisi economica, non solo delle politiche di austerità ma anche dell’intera “governance” dell’Unione divenuta, ormai, prigioniera di poche (o per meglio dire di una) nazioni.

A rendere la situazione ancora più complicata è la riconferma del conservatore David Cameron in Gran Bretagna.

L’azione del duo Cameron – Gove, infatti, mira all’eliminazione dello Human Rights Act britannico, che attualmente lega le leggi britanniche a quelle della corte europea dei diritti dell’uomo, per sostituirlo con una legge tutta interna che dia maggiori poteri di contrasto all’immigrazione illegale e al terrorismo.

Il tutto è chiaramente legato alla permanenza nell’UE e al rispetto delle regole di questa; il Primo Ministro britannico a tal proposito proporrà un referendum, in occasione del suo insediamento il 27 maggio, sulla permanenza dello stato in Europa in modo da avere maggiore libertà di movimento nei suoi provvedimenti.

Le sorti dell’organizzazione del vecchio continente sembrano legate a doppio nodo tanto alle vicende economiche quanto a quelle politiche.

Di questo passo l’Europa, a meno di una vera affermazione dei principi di solidarietà e pace fra le nazioni, non ha lunga vita anche perchè l’azione di un qualsiasi Stato porterebbe all’imitazione di tutti coloro che sono stati maggiormente colpiti dalla crisi.

Occorrono non solo misure economiche (vedi ridiscussione del debito ed eurobond), che da sole risolverebbero la maggior parte dei problemi presenti, ma anche misure politiche forti (e tanto decantate negli anni precedenti) che ridisegnino la governance europea e permettano di realizzare una “vera” unione.

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