Reato di prostituzione: se l’inquilina fa la squillo?
Se l’inquilina fa la “squillo”, non si configura più il reato di favoreggiamento della prostituzione a carico della proprietaria di casa (Cass. 44374/2016)
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La vicenda posta al vaglio della Suprema Corte ha avuto ad oggetto la situazione di una donna che offriva gratuitamente ospitalità ad una sua connazionale, in cambio della vigilanza sull’abitazione. Il dubbio nella fattispecie è ruotato tutto attorno alla questione di fondamentale importanza se il fatto si potesse configurare o meno come “reato di prostituzione”.
Purtroppo, a seguito di numerosissime segnalazioni veniva accertato che l’inquilina nella casa in cui era ospite svolgeva regolare attività di meretricio e la proprietaria, in concorso con un’altra donna, veniva “accusata” di aver compiuto atti di lenocinio nei confronti dell’ospite e di altre prostitute, consistiti nel richiedere ed ottenere, previo pagamento dell’inserzione, la pubblicazione di due annunci pubblicitari su un quotidiano locale che sponsorizzavano intrattenimenti di tipo erotico.
La Legge Merlin
La legge n. 75 del 20 febbraio 1958, cosiddetta Legge Merlin, è stata introdotta in Italia con lo scopo di vietare l’esercizio delle case di prostituzione e prevede una serie di sanzioni a carico di chi favorisce tale attività.
L’art. 3, comma 1, punisce con la reclusione da due a sei anni e la multa da 258 euro a 10.329 euro “chiunque avendo la proprietà o l’amministrazione di un casa o altro locale, li conceda in locazione a scopo di esercizio di prostituzione (n.2) nonché chiunque in qualsiasi modo favorisca o sfrutti la prostituzione altrui” (n.8).
Ebbene, con il divieto di concedere in locazione “a scopo di esercizio di una casa di prostituzione” si vuole scongiurare la riapertura delle c.d. case chiuse, ovvero di quei luoghi in cui vi sia il contestuale esercizio del meretricio da parte di più persone; l’ipotesi di cui al n.8, invece, punisce indiscriminatamente tutte le varie ipotesi dello sfruttamento e del favoreggiamento della prostituzione stessa.
La pena è raddoppiata ove il reato venga commesso in danno di più persone (art.7, comma 4). La Suprema Corte ha annullato la sentenza emessa in secondo grado e ha rinviato ad altra sezione della Corte di Appello, per un nuovo esame degli argomenti posti a fondamento della pronuncia.
In particolar modo, la Cassazione, aderendo a quanto esposto dalla difesa, “rimprovera” la Corte di Appello di Milano per aver basato il proprio convincimento su meccanismi inferenziali fondati su massime di esperienza fallaci, prive di fondamento logico.
In primo luogo, la Cassazione sottolinea che occorre dimostrare la consapevolezza da parte delle imputate della attività di meretricio svolta dalla inquilina, non potendo tale consapevolezza essere desunta dalla circostanza per cui, essendo l’inquilina priva di lavoro e di propri mezzi di sostentamento, non avrebbe potuto far altro che prostituirsi.
In secondo luogo, poiché si configuri un aumento di pena (nella specie, il doppio della pena da espiare) a carico delle imputate, occorre dimostrare la consapevolezza della presenza di altre donne che svolgevano, anch’esse nell’abitazione, attività sessuali a pagamento.
In conclusione, la semplice messa a disposizione di un locale a chi si prostituisce non integra da sé gli estremi del favoreggiamento, essendo necessario che chi offre ospitalità abbia la consapevolezza che nell’immobile l’inquilino eserciterà il meretricio.
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