11 Luglio 2016 - 09:56

Il referendum della discordia secondo Demos

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Il referendum della discordia secondo Demos. Mancano meno di sei mesi, ma la frequenza con cui il Premier Renzi parla della consultazione referendaria e, soprattutto, cambia idea riguardo la sua importanza politica, lascia trapelare una crescente incertezza

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L’estate non ha ancora dato il meglio di se ma già si capisce come l’autunno rischi di essere la più calda delle stagioni di questo 2016…dal punto di vista politico, naturalmente. Mancano meno di sei mesi, ma la frequenza con cui il Premier Renzi parla del referendum e, soprattutto, cambia idea riguardo la sua importanza politica, lascia trapelare una crescente incertezza. Con l’eco degli applausi per l’approvazione della riforma costituzionale ancora nell’aria, bandiera del governo Renzi e regina delle riforme del suo mandato, il Premier già annunciava il referendum, il più democratico dei modi per venire incontro alla popolazione che, se non lo aveva votato, almeno ora poteva esprimere un parere sul suo operato. Il ridimensionamento dei poteri del Senato e del numero di senatori, è un tema molto caro agli italiani, che vedono così ridotti i costi della politica. Non tanto per il Paese, quanto per i privilegiati che occupano posti di potere e che non si dimostrano quasi mai all’altezza del compito. Una piccola vittoria morale per gli italiani, insomma. Questo se vincesse il si, ovviamente.

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Secondo l’Atlante Politico Demos la politicizzazione del referendum non piace agli italiani

Ma in questo referendum c’è molto di più, c’è il futuro. Di un uomo, di un governo, di un partito. Il tutto concentrato in una sola persona, Matteo Renzi. Il Premier ha sempre dichiarato come la consultazione non fosse un test per il suo governo, ma semplicemente un’opportunità per la popolazione di toccare con mano quanto fatto fin ora. Poi dopo queste prime dichiarazioni aveva cambiato radicalmente idea, annunciando le sue immediate dimissioni qualora vincesse il no, stravolgendo completamente il significato del referendum e mettendo nelle mani degli italiani una responsabilità pari a quella di una consultazione elettorale regolare.

Ed ecco che gli italiani si ritraggono e scelgono di non esercitare il proprio diritto. Secondo i dati rilevati da Demos negli ultimi mesi, fino a febbraio scorso ben il 50% si esprimeva a favore della riforma, con un 24% di contrari , e il rimanente composto da indecisi o ignari della materia. Una buona prospettiva per Renzi e il suo referendum, auspicando che questo non sia quello che la Brexit è stato per Cameron. Quattro mesi dopo, però, il panorama è mutato nuovamente. I sostenitori della riforma sono scesi al 37%, con il consequenziale aumento dell’opposizione salita al 30%, insieme a coloro che non si esprimono, 33%.

Incertezza assoluta dunque, anche se c’è ancora tempo per convertire indecisi e detrattori. Ma una cosa è certa:la conversione del referendum da “antipolitico” a “politico” non è piaciuto agli italiani, per niente. I giochini di palazzo che stanno emergendo attorno a questa consultazione hanno risvegliato vecchi ricordi negli elettori delusi, che vedono questo referendum non più come una semplice, umile richiesta del loro consenso per una questione che riguarda tutti, bensì per una che riguarda pochi, uno solo per la precisione.

La politicizzazione del dibattito referendario ha modificato l’atteggiamento degli elettori, senza contare quella che è l’opinione dell’elettorato nei confronti di Renzi, al di la del referendum. Secondo l’Atlante Politico Demos del giugno di quest’anno, circa 8 elettori su 10 pensano che il PD di Renzi esca indebolito dal voto amministrativo.

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