31 Marzo 2016 - 10:47

Ruggi, paziente strappato alla morte

emato ruggi

Diagnosi precoce di Porpora Trombotica Trombocitopenica: al Ruggi di Salerno, reparto di ematologia, salvano la vita ad un paziente in gravi condizioni

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Professionalità. Organizzazione. Competenza. Preparazione. Ed un pizzico di intuito. Le qualità che definiscono un buon medico. I requisiti che ci si aspetta di trovare in un buon reparto. Gli ingredienti essenziali per una buona sanità. È ciò che ha consentito ai medici del Reparto di Ematologia dell’AOU “San Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona” di Salerno di salvare la vita ad un 32enne con Porpora Trombotica Trombocitopenica (PTT). Vera e propria urgenza ematologica, la cui risoluzione non può prescindere da una diagnosi precoce e una terapia tempestiva.

Al carattere di “urgenza” che contraddistingue questa sindrome si contrappone il suo infrequente riscontro. Un’incidenza annuale di 3,7 nuovi casi per 10 individui la rende, infatti, una condizione rara. E come tale, difficile da riconoscere e trattare.

Il paziente è giunto in pronto soccorso nel pomeriggio di martedì 1 marzo in condizioni gravissime. Febbre elevata, epigastralgia, anemia severa (Emoglobina 5,9 g/dL), piastrinopenia (conta piastrinica 12.000/mm3), lieve insufficienza renale (creatinina 1,5 mg/dL), afasia sensoriale, con scarsa risposta agli stimoli verbali e ridotto orientamento spazio – temporale. Il quadro neurologico, particolarmente accentuato, ha indotto i medici del pronto soccorso a sottoporre il giovane ad una TAC cranio, nel sospetto di fenomeni trombotici o emorragici a livello cerebrale.

Sulla base dei sintomi e segni e dei reperti laboratoristici, è stata prontamente richiesta una consulenza ematologica, rivelatasi provvidenziale per la sopravvivenza del paziente. L’ematologo di turno ha effettuato uno striscio di sangue periferico, nel quale ha verificato la presenza di schistociti. Ulteriore elemento, questo, a supporto della diagnosi di Porpora Trombotica Trombocitopenica.

La PTT, nota anche come Sindrome di Moschowitz, è una microangiopatia trombotica, determinata dal deficit di attività dell’ADAMTS13, metalloproteasi che, in condizioni fisiologiche, è responsabile del clivaggio dei multimeri del fattore di von Willebrand. In assenza di attività dell’ADAMTS13 – per deficit congenito o per la presenza in circolo di inibitori specifici – i multimeri del fattore di von Willebrand tendono ad accumularsi sulla superficie delle cellule endoteliali dove interagiscono con le piastrine attivandole e determinando la formazione di trombi. Dunque, le manifestazioni cliniche tipiche della Sindrome di Moschowitz sono direttamente correlate alla formazione di trombi piastrinici nel microcircolo, in particolare a livello cerebrale e renale.

Il quadro clinico, generalmente, comprende:

  • Manifestazioni emorragiche (dovute alla trombocitopenia da consumo) che si presentano con la comparsa di petecchie ed ecchimosi diffuse, porpora, epistassi e gengivorragia;
  • Manifestazioni trombotiche (determinate dall’accumulo di trombi piastrinici) distinte in:
    • Neurologiche, molto variabili e classificate come frequenti (cefalea, alterazione dello stato mentale) e rare (attacco ischemico transitorio, ictus, coma, convulsioni, deficit motori, disturbi del visus, crisi di grande male);
    • Renali, che comprendono oliguria, anuria, insufficienza renale acuta (raramente con necessità di trattamento dialitico, a differenza della Sindrome Uremico – Emolitica, nella quale il processo patologico colpisce prevalentemente i reni, con formazione di trombi piastrinici nelle arteriole afferenti e nei capillari glomerulari e conseguente danno renale severo);
    • Cardiovascolari, che includono aritmie, morte cardiaca improvvisa, infarto miocardico acuto, insufficienza cardiaca, shock.
  • Febbre, generalmente elevata, alla quale possono associarsi sintomi quali diarrea, vomito e dolori addominali.

La diagnosi clinica deve essere confermata dai dati di laboratorio:

  • Piastrinopenia severa (all’esordio conta piastrinica < 20.000/mm3).
  • Anemia emolitica microangiopatica, caratterizzata da: ematocrito < 20%; emoglobina < 10 g/dL; iperbilirubinemia indiretta; livelli sierici elevati di LDH, prodotti sia dall’emolisi che dal danno ischemico tissutale; presenza di schistociti (ovvero globuli rossi frammentati) all’esame dello striscio di sangue periferico (un valore superiore o uguale all’1% viene attualmente considerato suggestivo per la diagnosi di PTT). I test di Coombs, diretto e indiretto, risultano negativi. I parametri della coagulazione (tempo di protrombina e tempo di tromboplastina parziale) sono di solito nella norma, diversamente dalla CID, caratterizzata da un marcato incremento dei prodotti di degradazione del fibrinogeno e dal prolungamento dei tempi di protrombina e tromboplastina parziale.

Per la diagnosi di Porpora Trombotica Trombocitopenica è sufficiente, di regola, il riscontro di anemia emolitica microangiopatica e piastrinopenia.

Individuati, nel giovane paziente, tali aspetti dirimenti,  l’ematologo ha posto diagnosi di PTT ed ha prontamente iniziato la terapia d’urgenza, basata sull’infusione continua di plasma fresco congelato.

Nella stessa serata di martedì, il soggetto è stato ricoverato nel Reparto di Ematologia ed ha continuato, per tutta la notte, la terapia con plasma fresco congelato, per poi iniziare, a partire dal giorno successivo, la procedura di plasma exchange.

La risposta del paziente al trattamento è stata brillante – spiega il Prof. Selleri – fin dalla prima esecuzione, come dimostrato dal netto miglioramento dell’afasia realizzatosi nell’arco delle prime 48 ore”. Il soggetto è stato sottoposto quotidianamente per sette giorni al plasma exchange che, come illustrato dal Prof. Selleri, è una metodica particolare che si svolge a letto del paziente mediante una macchina preposta alla separazione e all’eliminazione del plasma del paziente con PTT e all’inserimento del plasma di soggetti sani, con l’obiettivo di rimuovere dal circolo gli anticorpi inibenti l’ADAMTS13 e i multimeri del fattore di von Willebrand e, nel contempo, di apportare metalloproteasi integre. Sono, dunque, necessari ingenti quantitativi (anche 15 – 16 sacche) di plasma di individui normali. Al plasma exchange è stato associato l’impiego dei corticosteroidi. “Il paziente ora sta bene. I parametri ematochimici (emoglobina e conta piastrinica) si sono normalizzati, il che costituisce un fattore prognostico positivo – dichiara il primario – e questo ci permette di ridurre il numero di procedure di plasma exchange”.

Dopo la sospensione della terapia aferetica, il paziente dovrà essere sottoposto ad uno stretto follow – up, la cui importanza viene sottolineata dal Direttore della Divisione di Ematologia.

Il follow – up, nella PTT, consiste in frequenti controlli clinico – laboratoristici (ogni 7 giorni nel primo mese dalla remissione della patologia), che prevedono l’esecuzione di un emocromo completo (in particolare conta piastrinica e dosaggio dell’emoglobina), il dosaggio della LDH e la valutazione dell’attività dell’ADAMTS13. Quest’ultima tende a ritornare nella norma parallelamente alla remissione della patologia, mentre un suo incremento può predirne la recidiva.

I parametri prognostici più importanti – veri e propri campanelli d’allarme – risultano essere la diminuzione della conta piastrinica, l’elevazione dell’LDH e soprattutto la riduzione dei livelli di attività dell’ADAMTS13. Dato il carattere subdolo della PTT – le cui cause spesso rimangono oscure – va sempre presa in considerazione la possibilità di una recidiva, il che impone un controllo costante delle condizioni del paziente. Queste indagini vanno associate ad uno screening immunologico ampio, volto a ricercare fenomeni di natura autoimmune che abbiano potuto scatenare la patologia.

I fattori scatenanti della PTT possono essere molteplici e di difficile individuazione. “La diagnosi eziologica nel giovane paziente si è rivelata complessa e ci induce a pensare – evidenzia il Prof. Selleri – ad una forma idiopatica”.

Esistono due diverse forme di PTT: congenita ed acquisita.

La PTT congenita (< 5% dei casi) è dovuta a mutazioni, in omozigosi o in eterozigosi, a carico del gene che codifica per l’ADAMTS13, localizzato sul cromosoma 9q34.  Si può manifestare sul piano clinico a qualsiasi età, ma prevalentemente alla nascita o nell’infanzia.

La PTT acquisita viene a sua volta distinta in due tipi:

  • Idiopatica (80% delle forme acquisite), immunomediata, conseguente alla presenza di autoanticorpi che inibiscono l’attività proteolitica dell’ADAMTS13 e/o si legano alla proteasi accelerandone la clearance plasmatica;
  • Secondaria (il restante 10 – 15%), riconducibile a fattori o condizioni che vanno a stimolare l’endotelio con il conseguente rilascio massivo di multimeri del fattore di von Willebrand, tale da superare la capacità di degradazione da parte della metalloproteasi.

Le principali cause predisponenti nella forma acquisita secondaria comprendono:

  • Anemia emolitica autoimmune
  • Infezione/sepsi
  • Neoplasie (stomaco, mammella, polmone)
  • Farmaci (estroprogestinici, ciclosporina A, inibitori della calcineurina, chemioterapici quali cisplatino e gemcitabina, anticoagulanti quali ticlopidina e clopidogrel)
  • Gravidanza e post – partum
  • AIDS
  • Diarrea causata da Escherichia coli enteroemorragico
  • Chirurgia maggiore
  • Malattie autoimmuni (sindrome da anticorpi antifosfolipidi, lupus eritematoso sistemico, sclerodermia).

Si tratta, dunque, di una patologia complessa e di difficile gestione per quanto concerne l’inquadramento diagnostico, l’approccio terapeutico e soprattutto i risvolti prognostici.

Pertanto, è un risultato degno di nota quello conseguito dal Prof. Selleri e dall’equipe da lui sapientemente guidata presso la Divisione di Ematologia del Ruggi. Risultato che non deve certo sorprendere, visto il bilancio del tutto positivo ed incoraggiante che tale Struttura ha potuto trarre finora. [ads2]