Sanremo 2022: si chiude una porta, si apre l’Eurovision
Sanremo 2022: un finale già scritto che ci catapulta agli Eurovision con un duo irresistibile. Blanco schizza in platea per baciare sua madre, Mahmood è incredulo: con loro vince un'intera generazione
Un finale, quello di Sanremo 2022, già scritto che si concretizza. Mahmood e Blanco spiccano il volo su una bici di diamanti, seconda l’eterea Elisa, terzo l’eterno Gianni Morandi.
Ieri sera si è chiuso un Festival meraviglioso che ha trovato la sua formula migliore. E che ci ha risollevato dalla cronaca lugubre degli anni precedenti: contagi, terapie intensive colme, restrizioni che sono l’equivalente del non vivere. Quest’anno è stato l’anno della normalità, della platea in carne ed ossa (vi ricordate i palloncini della scorsa edizione?), degli abbracci. L’Amadeus ter, a parte qualche intoppo fisiologico, ha funzionato: conduzione asciutta, faro puntato sulle canzoni, coinvolgimento intelligente di più target.
Il monologo non-monologo di Sabrina Ferilli
E, dulcis in fundo, una presenza femminile per cui il palco è stata cassa di risonanza di temperamenti e visioni della vita. Dopo una troppo legnosa Ornella Muti e una forse troppo fragile Lorena Cesarini, è stata la volta di una entusiasmante ed indispensabile Drusilla Foer con il suo monologo sull’unicità (che ha messo al bando parole come “integrazione” o “diversità”). A darle il cambio la centrata e spontanea Maria Chiara Giannetta con i suoi “cinque guardiani” che le hanno permesso di vedere al buio e, infine, una elegantissima Sabrina Ferilli che i social incoronano come regina indiscussa.
L’attrice de La grande bellezza si siede sulle gradinate dell’Ariston per produrre il non monologo per eccellenza: “Sono stati due anni molto duri, monologhi ce ne siamo fatti anche tanti, molti temi anche fra i più belli sono stati già toccati dalle mie bravissime colleghe“. Sabrina non si lascia sedurre dalla retorica, dalla ricerca di sensazionalismo a tutti i costi: “Ho pensato a problemi più importanti, il femminismo, la body positivity, l’inclusione, ma io penso che per parlare di questi argomenti bisogna che lo faccia chi ci si sporca le mani, studia, conosce e da palcoscenici meno scintillanti di questo. Sono molto rispettosa delle competenze altrui. E invece sui social non c’è persona che non faccia un commento su qualsiasi cosa“.
Poi arriva alla conclusione più applaudita: “Ma perché la presenza mia deve per forza essere legata a un problema grosso, cosmico? Io sto qua per il mio lavoro, le mie scelte, la cosa migliore che mi poteva accompagnare su questo palco è la mia storia, credo che sia la cosa più bella che possa accompagnare le donne ovunque“. E, citando Calvino, elogia la leggerezza, che è l’equivalente di “planare sulle cose con un cuore senza macigni“.
Sanremo 2022: con Blanco e Mahmood vince un’intera generazione
All’annuncio dei vincitori, Blanco schizza in platea per baciare la mamma. In sala stampa, qualche minuto dopo, confessa: “Da piccolo la facevo dannare, vederla piangere è stato bellissimo“. Il rapper dall’esordio d’oro (19 anni il prossimo 10 febbraio), io me lo immagino così: all’ultimo banco, in una calda giornata di giugno, quando l’anno scolastico sta per chiudersi e la testa è già altrove. Un ragazzo iperattivo nel senso bello del termine, un frullatore di idee, un uragano vitalistico che non sa starsene lì sulle sudate carte perché il suo destino è altrove.
E chissà quanti docenti hanno avuto paura di fallire con lui perché così poco conforme al protocollo, così impegnato a trovare uno sfogo alla propria anima inquieta. Mahmood, invece, sembra disorientato mentre stringe il Leone d’Oro, forse ancora troppo inchiodato alla convinzione, tutta da smentire, che “i favoriti non vincono mai“. Con “Brividi”, Riccardo e Alessandro si spogliano di ogni sovrastruttura, dando in pasto al pubblico i propri limiti (“e ti vorrei amare, ma sbaglio sempre”). La ricetta vincente è composta da un amore finito (nel testo) e due voci – una più eterea, quella di Mahmood; l’altra più sporca, quella di Blanco – capaci di incastrarsi perfettamente, di armonizzarsi, di non disperdersi nella tonalità dell’altra. E’ il trionfo della libertà di amare ciò che si vuole, di non costringersi in confini troppo stretti. All’Ariston, forse per la prima volta nella storia del Festival, un uomo canta la propria verità disarmante ad un altro uomo, rispecchiando l’urlo di un’intera generazione.
E ora? Niente paura. Ci vediamo a Torino, a maggio, per ospitare uno show unico in cui partiamo in una posizione privilegiata: il tetto musicale d’Europa.
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