14 Marzo 2017 - 12:15

Shark Tale: in fondo al clichè

Prodotto nel 2004 dalla DreamWorks Animation Studios, Shark Tale rappresenta una delle pellicole meno riuscite della casa d’animazione

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La DreamWorks di Katzenberg e Spielberg si è presentata fin da subito al grande schermo grazie ad idee innovative, abbattimento di cliché e trami originali. Figlie, tutte, di grande tecnica, che sia CGI che sia tradizionale, eccola inciampare su se stessa, tentando nuovamente l’assalto ai mostri sacri dell’animazione quali Disney e Pixar.

Uscito solo pochi mesi prima, Alla Ricerca di Nemo nel 2004 risulterà il film d’animazione vincitore agli Oscar per il mondo dei cartoni animati. Shark Tale non è altro che un tentativo della DreamWorks di ridisegnare e migliorare il concept narrativo (il mondo oceanico) che però non funziona e fa storcere il naso a più di un appassionato di animazione.

Trama affondata in fondo al cliché

Shark Tale non ha una trama avvincente, eccessivi colpi di scena che colpi di scena non sono, cliché a ripetizione che risultato fastidiosi e per nulla interessanti allo spettatore, se proprio la DreamWorks voleva ispirarsi a Nemo, almeno avrebbe dovuto farlo un po’ meglio. 

La natura della DreamWorks sta proprio in questo: prendere le storie che hanno fatto il successo – guarda caso tutte provenienti dalla Disney – ed aggiornarle con tematiche nuove e mai viste prime. Con Shark Tale però stavolta la “prova del 9” non funziona, ed il successo di Shrek sembra essere compromesso.

In breve potremmo racchiudere Shark Tale nella storia di un pesce più apparenza che contenuti, che grazie ad un qui-pro-quo si ritrova a vivere in uno stato di gloria vantaggioso. Il tutto sconfinerà nella ricerca della verità e nell’ammissione da parte di Oscar di essersi appropriato di un merito che a lui non appartiene. Nulla di che, soprattutto per chi cerca storie più articolate e di maggior spessore.

La scelta del doppiaggio italiano: colpito ed affondato

Ad alimentare ancor di più il secondo grande fallimento della casa DreamWorks (il primo era stato Sinbad), è stata anche la nostra cara Italia. Patria famosa per doppiatori di ottimo calibro, ma schiava incompetente del marketing. Se uno dei punti di forza della casa americana, sin qui, erano stati i personaggi modellati a seconda delle loro voci originali, è altamente fastidioso il modo in cui i nostri doppiatori siano stati scelti. Si passa da Will Smith a Tiziano Ferro, da Angelina Jolie a Luisa Corna, passando per Martin Scorsese doppiato da Roberto Stocchi.

Scelta infelice, trama piatta, un film in fondo al cliché. Shark Tale è una serie di stereotipi messi a caso in una storia destinata a non rimanere a lungo nella memoria dello spettatore. Siamo stati abituati alle storie della Disney tutte principi azzurri e grandi amori, che la DreamWorks è riuscita bene a spezzare, regalando agli spettatori storie di diversa natura, ritmo e ideali. Ma in Shark Tale questo importante passaggio non avviene, non riuscendo a cavalcare l’onda creata dalla casa di produzione.

La DreamWorks torna a testa bassa sul lavoro e sull’originalità. Ma la sua ostinata competizione la porterà a rialzarsi ancor più forte di prima, lo scopriremo presto.

 

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