1 Novembre 2017 - 10:00

Stranger Things 2, la serie in cui nessuno è con chi dovrebbe essere

Stranger Things 2

Stranger Things 2, la serie targata Netflix torna per Halloween. L’analisi delle due stagioni e del loro rapporto attraverso la crescita dei personaggi

Dopo un’attesa di mesi – lunghi ed estenuanti mesi – Stranger Things 2 fa il suo ritorno in grande stile. La serie tv targata Netflix è tornata on air con la sua seconda stagione in occasione di Halloween. Prima di premere il tasto play sulla 02×01, la paura della delusione si fa sentire: il solo (meraviglioso) trailer della stagione non era riuscito a tranquillizzare i fan della serie che temevano una parabola discendente per la storia dei Duffer.

Il primo capitolo della storia era stato molto apprezzato dal pubblico e dalla critica, rivelandosi in breve tempo uno dei migliori show dell’anno. Il suo cast di bambini – inutile dirlo – è stato uno dei più iconici e qualitativamente sconvolgenti emersi dal mondo della TV e questa seconda stagione sembra non essere da meno.

Sono stati aggiunti alla trama dei nuovi personaggi, interpretati da attori talentuosi tanto quanto gli originali – eccezion fatta per la piccola Max che comunque non riesce a raggiungere i livelli impressionanti di Millie Bobby Brown – e la serie non risente assolutamente dell’effetto déjà vu che rappresentava un rischio concreto per questo nuovo capitolo. La struttura narrativa della nuova stagione è infatti la stessa proposta dalla precedente e un esempio concreto è l’inclusione di Max, personaggio femminile, nel gruppo formato da Dustin, Lucas, Will e Mike, quasi in “sostituzione” di Eleven.

Resta anche lo stesso il “problema” (se così si può definire) che lo spettatore riscontra fin dai primi episodi: Stranger Things è la serie in cui tutti sono in una relazione con la persona sbagliata. La cosa a lungo andare diventa frustrante quasi più della vicenda del Sottosopra.

Stranger Things 2: la trama

Stranger Things 2 comincia un anno dopo la conclusione della prima stagione e il tutto è ambientato nella settimana di Halloween. I protagonisti sono tornati alla loro quotidianità, ma la loro tranquillità sembra essere soltanto apparente: Will deve fare i conti con visioni inquietanti, Nancy non ha superato la scomparsa di Barb mentre Mike deve affrontare l’assenza di Eleven. Un’entità mostruosa sembra aver messo gli occhi sulla città e sembra che soltanto Will possa fermarla.

La struttura della stagione

Gli episodi sono nove, uno in più dell’anno scorso, e uno di questi è interamente dedicato ad Eleven, il personaggio più amato dell’intera serie. Anche in questo caso i Duffer non sono mai lineari nella rappresentazione delle loro idee, eppure Millie Bobby Brown dimostra nuovamente il suo immenso talento, per niente acerbo nonostante l’età, pronto a sbocciare meravigliosamente negli anni, promettendo di portare vertiginosamente in alto quest’attrice.

Grande rivelazione della stagione è Noah Schnapp, interprete di Will, che è decisamente più importante nello sviluppo della trama. Il giovane attore ci regala una splendida interpretazione dall’inizio alla fine. Quello che colpisce maggiormente del suo modo di recitare è la capacità di rappresentare in modo naturale e mai forzato o stucchevole un trauma visto dagli occhi di un bambino. Noah fa capire agli spettatori che per un ragazzo così giovane la vera criticità di un’esperienza traumatica è racchiuderla nella vita di tutti i giorni con l’impossibilità di renderla invisibile e irrilevante agli occhi di chi ti circonda.

La posta in gioco è molto più alta e sembra che Hawkins si sia evoluta a città tridimensionale piuttosto che a prolungamento di casa Byers come nella prima stagione. La sicurezza dei Duffer è infatti visibile soprattutto nello sforzo compiuto nel rappresentare e approfondire i personaggi che prima di questi nove episodi erano stati secondari. Sempre presente il gioco del citazionismo che ha contribuito a decretare il successo della serie fin dalla sua nascita: è inevitabile amare le discussioni su Ghostbusters.

I personaggi fra prima e seconda stagione

I personaggi sono stati approfonditi e in diversi casi anche stravolti (nel senso più positivo del termine). I protagonisti restano sostanzialmente gli stessi, ma resta notevole quello che i Duffer sono riusciti a fare con ognuno di loro facendoli crescere e rendendoli così comunque nuovi ai nostri occhi. In particolare Mike è quello approfondito con più successo in questo senso: la mancanza di Eleven sembra renderlo un po’ più adulto agli occhi degli spettatori e la cosa non stona per niente su di lui. Mike è quello mentalmente più “adulto” nel suo gruppo di amici da sempre (nonostante il divertente cinismo assolutamente adulto di Lucas) e la cosa ci è sempre piaciuta.

Nella prima stagione questo suo aspetto era molto meno evidente, incanalato com’era nella ricerca di Will. Adesso invece questa sua caratteristica è molto più “sbrigliata”, in un contesto meno serioso del precedente e riesce a rendere Mike completamente nuovo ai nostri occhi. A risaltare questa nuova caratteristica la scena in cui Will e Mike parlano dopo la serata di Halloween del loro vissuto dello scorso anno: Will è un bambino provato molto più dalla realtà che lo circonda che dalle esperienze passate e Mike deve far finta di non essere costantemente alle prese con l’assenza e con tutto quello che comporta. Il momento fa tenerezza, ma è anche quello che fa capire quanto siano diversi i bambini che abbiamo davanti.

Eleven è sempre il personaggio centrale della serie, ma in questo secondo capitolo è molto più ragazzina che arma letale. È interessante vedere nel corso dei nove episodi come El sia una persona che realizza e assimila ciò che le è stato fatto trasformandolo in rabbia. Se nella prima stagione eravamo abituati all’eroina inconsapevole e fragile, il personaggio che i Duffer ci restituiscono adesso è un urgano di energia, un’eroina assoluta, arrabbiata ed ancorata ad una realtà che non vuole perdere. La sua trasformazione è stata scritta e recitata col cuore.

Gli adulti sono paradossalmente quelli che sembrano star meglio. Si sono rifatti una vita e hanno fatto pace con alcune cose del loro passato. Jim Hopper è, per esempio, quasi un uomo nuovo e la cosa lascia alquanto sconcertati se si pensa al detective dal cuore irrimediabilmente infranto della prima stagione. Nonostante questa leggera perplessità, il suo nuovo modo di vivere la vita e affrontare la quotidianità scalda il cuore e conquista lo spettatore, facendo rientrare il personaggio un po’ di più in quella schiera di persone “normali” che nella prima stagione erano state decisamente secondarie.

La madre di Will è invece una donna provata, ma nonostante tutto felice dei passi avanti che è riuscita a compiere verso una vita normale. Il suo nuovo compagno, infatti, è un tipo estremamente normale, a tratti noioso – potremmo anche fare a meno dell’espressione “a tratti” – e vederli insieme lascia combattuti fra la dolcezza e la nausea.

Johnatan Byers è grazie a Dio sempre lo stesso. L’aver ritrovato suo fratello gli toglie soltanto un po’ quella patina di tristezza caratteristica del suo personaggio nella prima stagione, ma resta intatta quella malinconica che ci piace, eccome se ci piace. Sembra che il suo essere più stabile si sposi bene con lo smarrimento di Nancy, che prima della scomparsa di Barb era un’adolescente come le altre, con un fidanzato come gli altri e, almeno Steve sembra esser rimasto sempre il solito irritante Steve, nonostante l’amore per Nancy lo faccia sembrare soltanto idiota e non un idiota colossale. Progressi.

Lucas e Dustin invece sono la (nuova) nota di leggerezza che mancava allo show: due ragazzini alle prime armi con i rapporti con le ragazze che per amore di una di loro vedono messa in crisi la loro amicizia. Sono anche molto più incisivi in questa stagione che va più che mai verso la coralità, scopo comunque iniziale dello show.

Stranger Things 2 ha confermato che i Duffer non sono i creatori di una one hit della tv, ma che questa è una storia nata per lasciare un suo segno nella storia di Netflix e delle serie. Questo cast è nato per crescere, per diventare sempre più importante, e si afferma in una stagione sempre più sicura di sé e dei propri punti di forza: tanto è stato preservato, altre cose sono state approfondite e molte altre cose meravigliosamente spontanee nate con Stranger Things sono andate perse.

Una pecca della stagione è per esempio la rigidità che rende obbligatorio l’affermarsi dell’azione piuttosto che altri elementi. La voglia di rendere questa serie una conferma della tv ha preso il sopravvento sulla fantasia non lineare dei Duffer, rendendo il tutto un po’ più visto e un po’ più statico, ma anche in questo i due fratelli riescono a rinnovarsi presentandoci un prodotto comunque unico nel mondo televisivo.

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