Tampon tax: più paradosso che tassa
Va avanti la complicata battaglia contro l’imposta sui prodotti mestruali (Tampon tax) tassati come beni di lusso. Bocciata la proposta della Boldrini
Tamponi interni, assorbenti, coppette e spugne mestruali in Italia si addossano il 22% di IVA, il massimo contemplato nel sistema fiscale italiano. Tassati come gioielli, che di valoroso hanno, però, solo il prezzo.
La guerra contro la tampon tax va avanti grazie a Laura Boldrini, che ha proposto di abbassare l’Iva al 10%, mozione già presentata l’anno scorso, che però finì ben presto nel dimenticatoio. L’emendamento sottoscritto dall’ex presidente della Camera insieme a 32 deputate di PD, Italia Viva, Forza Italia, Movimento 5 stelle e Liberi e Uguali, è comunque un importante megafono nella lotta per i diritti femminili. Si pensi che a gennaio di quest’anno ai tartufi freschi è applicata la tassazione del 5%, appena un punto percentuale più in alto rispetto al pane, tassato al 4%.
Grazie alle nostre aliquote, salite di 10 punti in 50 anni, siamo infondo alla lista europea (23esimi su 28), dato che, proprio in queste ore, la Germania ha sentenziato la tassazione dei prodotti mestruali al 4% seguendo l’esempio di Spagna, Francia, Regno Unito, Belgio e Olanda. Ci seguono solo la Finlandia (24%), Svezia, Croazia, Danimarca (25%) e Ungheria (27%). Il primo posto va all’Irlanda, che ha deciso di non tassare affatto i prodotti mestruali. Insomma, perché un rasoio da barba è considerato un bene primario (4% come il latte) e una scatola di assorbenti uno di lusso?
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