Thuram al Festival dello Sport: “In Italia molta ipocrisia sul razzismo”
“Pensare come un essere umano per non arrendersi al razzismo”: ospite al Festival dello Sport, Lilian Thuram ha le idee chiare sul fenomeno
Il primo grande ospite del Festival dello Sport organizzato dalla Gazzetta dello Sport a Trento è un personaggio che ha fatto di grinta e sostanza il proprio marchio di fabbrica in campo. Temperamento che Lilian Thuram ha conservato anche nella sua nuova esperienza professionale da scrittore impegnato: nel corso dell’incontro organizzato dalla kermesse, l’ex difensore di Parma e Juventus, oltre che campione del mondo ’98 con la Francia, ha affrontato l’attualissimo tema del razzismo in ambito sportivo.
Thuram duro: “Il razzismo è una trappola”
“Il razzismo è una trappola – spiega l’ex Bleu ai microfoni – un’ideologia politica che va avanti perché c’è gente che ci guadagna. Il razzismo è arroganza, è pensare di avere sempre ragione, è non volere ascoltare gli altri. Bisogna uscire da questa arroganza per diventare esseri umani. Per sconfiggerlo bisogna abbattere i pregiudizi. Pregiudizi che nascono quando cresci”.
Un meccanismo che finisce per coinvolgere anche l’ambiente sportivo, quello calcistico in particolare:
“Anche nel mondo del calcio ci sono queste abitudini, i giocatori bianchi gli allenatori bianchi possono fare tanto, se non fai niente vuol dire che accetti uno stato di cose. I giocatori devono dire: sì c’è razzismo in Italia. E lo dici perché ami l’Italia e vuoi cambiare le cose. Se tu hai un problema, io ti devo aiutare, non è che ti devo chiedere prima da dove viene e che colore della pelle hai. Quando gridi che Koulibaly è una scimmia tu fai violenza, colpisci non solo lui ma tanta gente. Una persona deve aiutare un’altra persona perché abbia gli stessi diritti. Per uscire dal razzismo tu non devi pensare come un francese, un italiano, un nero, un bianco, un senegalese, ma come un essere umano”.
L’esperienza del Mondiale di Francia ’98
Ma il calcio ha dimostrato di saper diventare un eccezionale aggregatore sociale, oltre che spinta di annullamento di divisioni e contrasti.
Un esempio è la gloriosa cavalcata nel mondiale di casa del Bleus ’98: una squadra formata da giocatori d’origine africana, centramericana e araba.
“Perché bisogna aspettare di vincere un Mondiale per rendersi conto della realtà? – si chiede Thuram ai microfoni del Festival dello Sport – Questo mi ha dato fastidio, ma è stato anche un modo di riflettere per la Francia. Perché solo nel calcio si può fare e non altrove? E questa domanda ha fatto crescere il mio Paese. Anche da bambino io riflettevo sul razzismo: in Guadalupa no, solo quando sono arrivato a a scuola a Parigi mi hanno detto sporco nero. E lì me ne sono chiesto la ragione. E la mia mamma mi ha detto: rassegnati, le cose non possono cambiare. Per fortuna non ho ascoltato mia madre, mi sono messo a leggere, ho studiato la storia, ho incontrato delle persone, ed è così che sono arrivato al Mondiale consapevole di tanti pregiudizi.
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