20 Settembre 2017 - 10:00

Tim Burton, l’anello mancante tra pop e horror-gothic

Tim Burton

Il regista statunitense Tim Burton ha marchiato a fuoco la sua impronta nell’universo cinematografico grazie al suo stile unico – da cui il nuovo genere ‘burtoniano’: inquietante, dark ed anche pop ‘80s

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Insolita capigliatura alla Robert Smith dei The Cure, look cupo e un sorriso ironico misto a nostalgico che fuoriesce da un viso tremendamente timido. E’ con questo contegno da punk alterative che si presenta Tim Burton, regista, produttore ed animatore acclamato in tutto il mondo.

Nato e cresciuto a Burbank, la cittadina degli studios Disney, Warner Bros e Universal e a pochi chilometri da Hollywood, passa l’infanzia immerso tra film horror (con una particolare predilezione per i B-movies, film a basso costo e di dubbia qualità), moster movies giapponesi e i racconti gotici di Edgar Allan Poe. Questi tasselli forgiano fin dagli albori la sua inclinazione artistica, originale ed unica, che gli consentirà il raggiungimento del successo sul grande schermo.

Descrivere il suo stile cinematografico a coloro che non hanno mai visto neanche il gettonatissimo Edward mani di forbice (se ancora ce ne sono) può apparire come un miscuglio di elementi contraddittori. Morte e vita nell’al di là, temi centrali in quasi tutti i suoi film, presentati in chiave giocosa e beffarda. Mostri, scheletri e fantasmi protagonisti di grotteschi musical, senza tralasciare un notevole spazio destinato a profonde riflessioni sulla vita. Una costante patina da romanzo horror-gothic mixata all’estetica pop degli anni ’80 attraverso musica e costumi. Ricorrenti personaggi bislacchi ed eccentrici, emblemi di emarginazione sociale ma anche di originalità e popolarità, che non sempre riescono a raggiungere il loro happy ending.

Michael Keaton in Beetlejuice di Tim Burton

Michael Keaton in Beetlejuice – Spiritello Porcello (1988) di Tim Burton

Horror nella commedia e nel fantasy, gotico nell’avventura e nell’azione, romantico nella fantascienza. Sono questi i contrasti che rendono positivamente inclassificabile lo stile di Tim Burton. Uno stile talmente peculiare che ha dato vita, in maniera del tutto spontanea alla definizione di genere “burtoniano”. Un genere non facile da spiegare a parole, ma ben scolpito negli occhi degli spettatori. Basti pensare ai suoi lavori di maggiore successo come Mars Attack! , l’intera saga di Batman, Il Mistero di Sleepy Hollow, Big Fish, La Fabbrica di Cioccolato o Alice in Wonderland.

Ma il cinema è solo una felice conseguenza della sua passione per il disegno e l’animazione. Infatti, poco più che ventenne, viene ingaggiato come animatore dalla Disney (dove ha disegnato Red e Toby nemiciamici e collaborato a Taron e la Pentola Magica), finché non realizza in autonomia i suoi primi cortometraggi d’animazione.

Si tratta di Vincent (clicca qui per vederlo), una chicca di 6 minuti dedicato al suo idolo Vincent Price, interprete di numerosi film horror anni ’50, e di e Frankenweenie, la storia di un ragazzino di nome Victor che decide di riportare in vita il suo cane. Quest’ultimo lavoro determina il suo licenziamento dalla Disney (che lo accusò di aver sprecato le risorse della compagnia, a causa di uno stile troppo dark e personale), ma anche una candidatura agli Oscar ed una successiva ripresa del progetto nel 2012, stavolta nel formato di lungometraggio, realizzato in 3D ed in stop-motion.

Ed proprio è lo stop-motion, la tecnica cinematografica consistente in una serie di fotogrammi in rapida successione per dare movimento alle immagini, uno dei pilastri alla base della visione burtoniana. Sperimentata solo in brevi sequenze nei suoi primi film, come nelle scene iniziali di Pee-wee’s Big Adventure o nelle trasformazioni mostruose dello spirito/Michael Keaton in Beetlejuice – Spiritello Porcello, diventa una vera e propria firma di autore nei capolavori di La Sposa Cadavere e Nightmare Before Christmas (il frutto di un lavoro certosino durato circa 3 anni).

Tim Burton sul set di Nightmare Before Christmas (1993)

Tim Burton sul set di Nightmare Before Christmas (1993)

A rendere vincente la sua produzione artistica hanno contribuito anche un insieme di sodalizi a dir poco redditizi. Tra questi, quello con Danny Elfman, il suo compositore “di fiducia”, che ha realizzato la colonna sonora di quasi l’intera filmografia di Burton, e la frequente presenza dei grandi nomi di Hollywood. Ne sono esempio Michael Keaton, Jack Nicholson, Winona Ryder, l’inseparabile amico Johnny Depp, protagonista di ben otto dei suoi film e l’ormai ex moglie Helena Bonham Carter.

Nondimeno la grande abilità nel riuscire a mettere insieme senza striature il gusto per il macabro con uno spiccato senso per i dettagli pop, personaggi gotici con ambientazioni fantasiose ed un brioso sarcasmo sulla morte con lucide battute su questioni sociali è la dimostrazione del suo sconfinato talento. Un’unione di elementi già individualmente rappresentati sullo schermo ma che, insieme, superano gli schemi socialmente prestabiliti in un nuovo e bizzarro mondo: quello di Tim Burton.

“It’s good as an artist to always remember to see things in a new, weird way” (È bello, come artista, ricordarsi sempre di vedere le cose in un nuovo, strano modo) –  Tim Burton

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