21 Dicembre 2016 - 19:17

Toy Story 3: la grande fuga dalle favole

toy story 4

Dopo oltre 10 anni l’uscita di Toy Story 2 (1999), Lee Unkrich prende in mano la regia per un altro capitolo della saga sul mondo dei giocattoli: nel 2010 esce Toy Story 3. Una scelta azzardata da molti temuta come una scelta aziendale e commerciale, ottimale dal punto di vista economica, ma scarsa dal punto di vista dei contenuti. Ma la Pixar ci sorprenderà nuovamente

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La saga di Toy Story è a dir poco sacrale per il destino della Pixar, ne costituisce probabilmente la spina dorsale che l’ha retta in piedi sino ad oggi. Dopo i primi due capitoli e diversi cortometraggi sul mondo dei giocattoli, un terzo capitolo poteva apparire come forzato e non necessario. Era necessario, dunque, buttare giù una grande storia per non snaturalizzare la saga di Toy Story. Nonostante un’impresa quasi impossibile, la Pixar ha vinto anche quest’altra sfida. Scopriamo il perché.

Andy è cresciuto, qual è il destino dei giocattoli?

Se tra primo e secondo capitolo il proprietario dei nostri protagonisti, Andy, era solo leggermente cresciuto, adesso è un vero proprio adulto. Sta infatti per iniziare la sua avventura al college e Woody, Buzz e gli altri giocattoli si chiedono mai quale sarà la loro fine. Relegati in soffitta? Dopo essere sopravvissuti a tante intemperie narrate nei due capitolo antecedenti, solo pochi di loro sono rimasti uniti. Andy non ha intenzione di venderli, ma neppure di buttarli. Dopo averci riflettuto, per un imprevisto tra mamma e figlio, tutti tranne Woody finiranno nella spazzatura, nel tentativo di una fuga, si ritroveranno tutti al Sunnyside, un asilo. Qui inizierà una nuova era per i giocattoli, con nuovi padroni pronti a giocare con loro, piccoli bimbi che quando cresceranno, saranno sostituiti da altri.

Un posto dunque pregiato per i giocattoli, soprattutto per quelli vecchi o quelli stanchi, ma i nostri protagonisti ben presto scopriranno di come il Sunnyside sia una metaforica ditattura e di come Lotso, un apparente coccoloso orso abbraccia-tutti, sia in realtà un leader malvagio che sfrutta gli altri giocatoli per restare in cima alla piramide al puro scopo di sopravvivere nascondendosi al mondo.

Ogni giocattolo ha una propria storia

Ciò che probabilmente dimostra che la Pixar sia fenomenale, è la caratterizzazione dei personaggi. Woody, Buzz, Mr.Potato & Co. sono personaggi che ormai sono conosciuti fin troppo bene. Ma i nuovi come Barbie, Ken, Lotso, Bimbo e tanti altri, vengono caratterizzati in base al loro passato ed alle loro esperienze. Esattamente come delle persone vere. Segnate dalle esperienze, e soprattutto, Lotso ne è la prova lampante, dalle delusioni. Anche un giocattolo perde la propria parte buona se soffre. E’ il caso di Lotso, un orsetto abbandonato da Daisy, una bambina affettuosa che per sbaglio lo abbandona. Lotso riuscirà a riunirsi alla sua padroncina ma scoprirà essere stato sostituito, questo evento lo cambierà definitivamente rendendolo malvagio, credendo (giustamente) che nessuno è indispensabile per nessun altro.

Il finale: i giocattoli sarebbero dovuti morire?

Senza anticipare troppi dettagli della trama, c’è una questione molto importante e delicata su cui soffermarsi: il finale. Con questa pellicola la saga di Toy Story finisce ufficialmente (anche se è stato annunciato un Toy Story 4, ma ambientato nella linea temporale compresa tra Toy Story 2 e Toy Story 3) e con essa, sarebbe potuta terminare la vita dei giocattoli di Andy. Alla fine così è, anche se la Pixar la pone nella maniera più “fiabesca” possibile. Ma il bello della Pixar è che le sue sono storie, non favole. I giocattoli per Andy, sono, in un certo senso, ormai “morti”. Lo dimostra l’ultima scena, un addio tra padrone e giocattolo, collegata con tanti Easter Egg dei primi due film, per rendere il tutto più nostalgico, e per chiudere un fantastico cerchio.

I giocattoli non sono molto diversi da noi

La storia che la Pixar ci regala con Toy Story, è la vita di chiunque di noi. Crescere, soffrire, gioire, e soprattutto cambiare. Cambiare vita, cambiare luogo, cambiare anche dentro, cambiare il modo in cui vedere il mondo. Lotso nonostante la sua malvagità insegna come a volte sia doloroso accettare la realtà, gli stessi Barbie e Ken non sono altro che una parodia dei rapporti sociali di oggi: i due giocano mentalmente tra loro, approfittando del loro flirt per girare le volontà del partner al proprio vantaggio. Woody è un giocattolo che riesce a vedere le cose con razionalità ed oggettività: basti vedere il modo in cui si ritrovi catapultato a casa della dolce Bonnie, iniziando dallo scetticismo e trasformandosi in felicità una volta capito, che alla fine, Andy non è l’unico bambino con cui avrebbe sempre e solo potuto giocare. 

Andy rappresenta la classica persona che nelle nostre vite prima o poi se ne andrà, ma che in fin dei conti, non si dimenticherà mai di noi. Tra Andy ed i giocattoli c’è un rapporto quasi di padre-figlio in cui non è Andy ad andare via, ma sono i giocattoli, che crescono, si evolvono, e di conseguenza, si adeguano accettando anche un realtà scomoda.

Una saga in cui è difficile trovare aspetti negativi. Spettacolare quest’ultimo capitolo dal punto di vista tecnico, ovviamente migliore rispetto alle pellicole antecedenti. Modo perfetto per chiudere una saga che ha segnato il destino dell’animazione, probabilmente non c’era.

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