13 Dicembre 2017 - 14:00

ZONa Cinema – I Fratelli Lumière: apologia della settima arte

fratelli Lumière

Zon.it vi introduce in un lungo viaggio nella storia del cinema, ricalcando quelle che sono le tappe principali che hanno portato alla formazione della settima arte: i fratelli Lumière

I fratelli Lumière, storia diventata Storia.

Quanto tempo serve per scrivere la storia? Quanto per imprimere una traccia indelebile nell’enciclopedia umana? Mesi, anni, decenni oppure secoli? Ebbene, la storia della cinematografia è iniziata più di 120 anni fa e quel Big Bang durò soltanto 45 secondi. Meno di un minuto per aggiungere ad architettura, scultura, pittura, musica, letteratura e danza, la settima arte: il cinema.

Sempre sulla scia di una metafora scientifica, attribuiamo ai Fratelli Lumière il titolo di ideatori di quella “equazione della relatività generale” che ha portato nel 1895, al Salon Indien del Gran Cafè sul Boulevard des Capucines, a Parigi, alla prima storica ed indimenticabile proiezione del Cinèmatographe Lumière.

L’inizio dell’opera di rivoluzione artistica e sociale portata da Auguste e Louis consta di quattro brevi pellicole: Le Sortie des Usines (L’Uscita dalle Officine), Le Repas du Bèbè (La Colazione del Bimbo), L’Arrivèe d’un Train à la Gare de La Ciotat (L’Arrivo di un Treno alla Stazione di La Ciotat) e L’Arroseur Arrosè (L’Innafiatore Innaffiato – oppure, secondo il titolo che figurava nella corto – Le Jardinier).

L’epifania newyorkese

Ma facciamo un passo indietro, esattamente di una generazione. Antoine Lumière è un anticonformista, il più classico dei francesi dotato di una personalità forte e di un acuto senso artistico. Sarà lui ad acquistare un terreno nella periferia di Lione che si tradurrà in breve tempo nella nascita della Société Lumière et Fils: la fabbrica si svilupperà velocemente e, a partire dal 1895, comincia l’avventura del cinematografo.

Nel frattempo Thomas Edison mette a punto una macchina da presa, il kinetografo, e un un visore, il kinetoscopio, il quale permette di guardare attraverso un oculare un film da 35mm lungo 15 metri contenente un piccolo sketch. Quando i fratelli Lumière arrivarono a New York, questa diventò per loro un’epifania: quei prototipi andavano portati in Europa e sviluppati adeguatamente. Da lì, la storia diviene storia.

La Sortie des Usines (1895)

È il 28 dicembre 1895. Mezzogiorno, circa. Un’inquadratura fissa frontale riprende numerosi operai uscire dalla fabbrica situata al n° 25 di rue Saint Victor, per andare a pranzo. Ci sono tre versioni di questo spezzone, ognuno per una stagione differente: autunno, primavera ed estate. Il 22 marzo 1895 viene proiettato a Parigi: il successo è immediato. Nel 1896, a un anno esatto dall’impulso iniziale arrivato dal padre, il cinematografo sembra davvero funzionare. Louis e Auguste Lumière intuiscono che il loro cinema può incontrare l’interesse del grande pubblico. Tuttavia è da chiedersi se i due fratelli intuissero cosa aveano appena realizzato e che impatto potesse avere sulla vita degli uomini da lì al prossimo futuro.

I dubbi sul realismo dei Lumière

Sono stati tanti i critici cinematografici che hanno parlato di un possibile “peccato originale” per la prima storica pellicola. Ciò è spiegato da un “finto realismo” messo in scena dai Luimière: sono i piccoli particolari che danno risalto ad una “spontaneità ricercata“. La cinepresa, fissa sulla fabbrica, nella più normale delle ipotesi avrebbe dovuto riprendere degli operai. Ebbene, le figure che passano velocemente in scena sono uomini e donne vestiti troppo elegantemente per trovarsi in orario di lavoro: dame con eleganti cappelli piumati e lunghi abiti e signori con sigari, sembrano davvero poco plausibili in un ambiente del genere.

E ancora, i punti di uscita di scena sembrano perfettamente concordati: il nucleo di persone inquadrate è diviso in due, una parte esce in direzione sinistra, l’altra in quella opposta. Non c’è nessuno che sembri avere dei ripensamenti oppure accenni a cambiare strada o, a percorrerne una diversa, infatti ad esempio, nessuno si avvicina verso la camera.

Nell’altra versione dello sketch, inoltre, c’è il passaggio di un uomo in bicicletta seguito da un cane che, eppure, pochi secondi dopo la sua uscita, ritorna in scena per ritirarsi dalla parte opposta: si presume che la sua uscita (come quella dell’animale) sia stata mal calcolata o concordata, ad esplicitare il fatto che l’ipotesi, che lo spezzone sia stato provato più volte, è al quanto plausibile.

Ambivalenza della pellicola

Gesti innaturali, possibile presenza di un vero copione, possono tradursi in una pellicola dallo stampo “meramente” pubblicitario. Georges Sadoul non confuta questa congettura, tutt’altro:

“Il primo film di Louis Lumière – quasi una pellicola pubblicitaria – fu proiettato al pubblico nel corso di una conferenza sullo sviluppo dell’industria fotografica in Francia. Le operaie in ampie gonne e con grossi cappelli piumati, gli operai che spingono le biciclette, danno oggi a questa semplice sfilata un fascino ingenuo. Dopo i dipendenti ecco apparire i padroni in una carrozza tirata da due cavalli, quindi il portiere che richiude le porte”

Probabilmente i Lumière considerarono (giustamente) il cinema il progetto giusto per monetizzare e, anche per questo, Auguste e Louis Lumière lo portarono in giro per il mondo, da Londra a New York e, la loro straordinaria invenzione, riscosse un enorme successo.

Ma, è possibile riscontrare un primo accenno di rigore registico con La Sortie de l’usine, infatti, i fratelli Lumière danno risalto all’aspetto dinamico della pellicola: la perfezione del movimento è data proprio dall’essere umano. Quest’ultimo è ripreso in diversi azioni, dal passeggiare con andamento normale, al correre, pedalare, guidare una carrozza. Louise e Auguste, pertanto, contrappongono in maniera concreta la staticità ovvia della fabbrica, al dinamismo convulso della massa dei “lavoratori” all’uscita.

Le Repas de Bébé (1895)

Tradotto ne La Colazione del Bimbo, questa pellicola (sempre del 1895 e presentato al Salon indien du Grand Café) vede un’evoluzione e, se vogliamo, un miglioramento stilistico dei Lumière. Infatti, l’inquadratura della fabbrica era, seppur ferma, tecnicamente caotica e difficile da percepire un punto di fuga ben definito. Ora, tutto converge sul piccolo e, l’inquadratura è molto più razionale, concedendo agli altri due protagonisti, i due premurosi genitori, medesima importanza. La divisione dell’immagine in tre sezioni è rivoluzionaria nel campo cinematografico, l’ABC che ancora oggi viene insegnato in tutte le scuole di cinema del mondo.

Di questo spezzone esiste un’altra versione del 1903: i protagonisti sono Auguste Lumière e sua moglie, Marguerite. Il bambino è Andrée che morirà a soli 24 anni nel 1918 per l’influenza spagnola.

Tecniche

Se di La Sortie des Usines ne fu criticato l’aspetto da “copione“, tutt’altro discorso viene fatto per questo sketch. L’immagine di vita quotidiana perfora lo schermo, non c’è nessun calcolo nei gesti, se non quelli amorevoli di un padre e di una madre nei confronti della loro prole. La profondità della scena è straordinaria ma, ancor di più, è la presenza di una leggera brezza che scuote le fronde dietro l’abitazione, un dettaglio naturalistico per la prima volta al centro di una ripresa.

Per la fabbrica dei Lumière è stato utilizzato un’inquadratura a campo, con la ripresa della totalità dei corpi di scena e non solo. Per questa seconda pellicola si utilizza un mezzo primo piano (o mezza figura), ossia con un’inquadratura tagliata approssimativamente all’altezza del petto, probabilmente il primo della storia del cinema.

C’è chi, magari con una nota più aspra del dovuto abbia sottolineato aspetti probabilmente ininfluenti. Per sottolinearli ci affidiamo di nuovo al pensiero di Sadoul:

“[…] Un involontario documentario sociale su una ricca famiglia francese della fine del secolo. Lumière dà il quadro di sicura agiatezza, e gli spettatori si rivedono sullo schermo così come sono nella vita o come vorrebbero essere. […] In primo piano stanno un servizio da caffè d’argento e le bottiglie di liquore, poggiate su un vassoio.”

L’Arrivèe d’un Train à la Gare de La Ciotat (1895)

https://www.youtube.com/watch?v=b9MoAQJFn_8

Proiettato nel 1896, viene ampiamente considerato come il corto dei fratelli Lumière più famoso, forse per l’alone di leggenda che lo permea. L’ambientazione, come sottolineato dal titolo, è la stazione ferroviaria di La Ciotat (Costa Azzurra), e vede l’arrivo di un convoglio trainato da una locomotiva a vapore: i fratelli Lumière hanno come intento, ancora quello di voler rappresentare la realtà con brevi spaccati di vita quotidiana.

Questa volta c’è tutto: naturalezza dei gesti, dinamicità reale, nessun copione, imperfezione umana. Ancora una volta le donne e gli uomini in scena sono piuttosto eleganti, ma lo stesso convoglio pare essere di un certo livello, richiamando forse la scelta di un regime pubblicitario dei Lumière.

L’inquadratura è tutto campo che, inoltre, viene per quasi l’intera durata dello sketch, occupata dai “protagonisti” nell’intento di salire sul treno, in modo da diventare, in questo modo, un piano americano, o ancora un mezzo primo piano: da notare, tra l’altro, l’interessante e particolare inquadratura angolata e non frontale, come siamo stati abituati a vedere. Questa angolatura intanto ha permesso ai Lumière di dare una profondità di campo ottimale, con una straordinaria messa a fuoco del treno sia in lontananza sia in primo piano.

I personaggi entrano ed escono liberamente dalla scena, senza un personaggio o un’azione principale ma, con una molteplicità di centri di interesse, infatti, a differenza de La Sortie des Usines, qui troviamo una dinamicità non ricercata (anche se tra i personaggi è possibile individuare la madre dei fratelli, con in dosso una mantella dalle tinte scozzesi). Tante sono le donne che sono alla ricerca del vagone giusto, altre corrono mano nella mano: insomma, è già dimenticato lo stile “da script” della fabbrica dei fratelli Lumière, con le uscite di scena prevedibili e perfette.

La chiusura è innaturale e in medias res, lontana dalle porte della fabbrica che si chiudono mettendo allo sketch la parola “end” sul più bello.

“[…] La locomotiva giunge dal fondo dello schermo, avanza sugli spettatori e li fa sussultare dando loro la sensazione che stia per schiacciarli […]”

Insomma realismo e quotidianità sono unite indissolubilmente ad una drammatizzazione della pellicola, come se fosse la stessa cinepresa ad assumere un ruolo da attrice non protagonista che eleva questa pellicola e primo vero montaggio moderno.

L’Arroseur Arrosè (1895)

L’innaffiatore innaffiato è tecnicamente non dei migliori e con nessun nuovo apporto stilistico, anzi: la pellicola ci appare sbiadita e gli esterni confusi. Tuttavia ha un fondamentale aspetto rivoluzionario: la presenza di un vero copione, di un primo piano narrativo, semplice e lineare. È stata proprio la sceneggiatura a rendere così importante questo sketch, più di un primo tentato rapporto intercorso tra il fuori campo e il campo.

Pertanto, François Clerc (il giardiniere) e Benoît Duval (il ragazzo) sono entrambi dipendenti dei Cinèmatographe e, possono essere considerati come primi attori nella storia del cinema: tra l’altro Duval ha un altro primato, quello di essere stato all’età di 14 anni il primo attore bambino della storia del cinema. La pellicola, dal canto suo, oltre a presentare i caratteri di prototipo narrativo, ha il merito di essere la prima opera cinematografica a sfondo ironico.

A conclusione di questo primo viaggio, durante il quale si è approfondito l’archè della settima arte, possiamo attribuire ai frères Lumière il titolo di padri del Grande Schermo con una rivoluzione senza precedenti non solo in ambito artistica ma anche all’interno del panorama sociale. Masse di uomini, donne e bambini di varie classi sociali si unirono nel percorso conoscitivo del Cinèmatographe, a cui bastava un solo franco per assaporare il sapore della storia.

Quella dei fratelli Lumière fu una dimostrazione di forza e di genio: poter visionare le gesta umane, il progresso scientifico e industriale si tradusse in breve tempo nel nuovo illuminismo novecentesco: raccontare la vita, riproducendo la vita.