17, ovvero come Emis Killa e Jake la Furia hanno riportato il rap alle origini
Schietto, chiaro e didascalico. E’ questa la sintesi di “17”, l’album composto a quattro mani da Emis Killa e Jake la Furia che si propone come contraltare rispetto al patinato da classifica
Come recita un vecchio adagio, la trama della vita di strada ha solo due finali per ognuno dei suoi interpreti: la galera o la morte. A pensarci bene, quindi, si tratta sempre delle stesse storie, ma la differenza è fatta dal modo in cui vengono raccontate, ed in “17”, album pubblicato dall’ inedita coppia formata da Jake la Furia ed Emis Killa, esse assumono i contorni della più classica e cruda realtà di genere.
La regia e la narrazione di quest’opera inedita è affidata proprio alle voci ed alle penne della coppia milanese, unitasi in via del tutto eccezionale per la creazione di un joint album pubblicato lo scorso 17 settembre e nato “con l’intenzione di riportare la musica hip hop lì dove è nata”. Ed è proprio tra la polvere dei bassifondi e gli angoli dei quartieri meno chic di ogni città, che si rintracciano le cornici ideali per le scene dei diciassette pezzi che compongono la tracklist, tutti accomunati da una atmosfera simil notturna, poco appariscente e priva di lustrini e merletti.
L’intera complessità del progetto,infatti, è resa attraverso un mix di suoni e rime che qualche nostalgico chiamerebbe old school facendo storcere il naso agli ascoltatori della recente new wave da radio nostrana che non avranno modo di trovare in questa mitragliata di punchline dalla durata di circa 51 minuti totali, né il feat di tendenza e né tantomeno il ritornello patinato. Questo perché “17” è un disco da braccio fuori e finestrino abbassato, che suona grezzo e lineare come l’idea da cui è stato concepito, con i bassi sparati alla vecchia maniera per dettare un andamento da club di Brooklyn, e le melodie spartane ma allo stesso tempo avvolgenti che sembrano uscite da qualche campionatore di Atlanta. In quest’ottica i loop delle basi di “Sparami” e di “No insta” suonano dannatamente classic quasi quanto l’accenno di piano de “La mia prigione” che, da accessorio in salsa night, fa muovere la testa a tempo quando si trasforma nell’andamento stereotipato de “L’ultima volta”, brano che sembra connettere le strade periferiche della New York più cupa con quelle della Milano che si arrangia alla giornata. E se l’andamento ipnotico di “Renè & Francis”, nonostante le tematiche trattate, fa venire quasi l’ardore di gettarsi in una rissa, ci pensano le varie “Toro loco” e “Gli amici miei” a stemperare i toni evidenziando ancora una volta quanto “17” sia prima di tutto un disco da quartiere e che ha le storie di diversi quartieri al suo interno, ognuno dei quali rivela il proprio background attraverso a sfacciataggine dei versi di Emis Killa e Jake la Furia.
Con le loro sortite alternate, infatti, i due “malandrini” non sbagliano mai alcun ingresso sui beat mostrando quel mix letale di attitudine, cattiveria e consapevolezza che dalle parti del rap nostrano mancava da un bel pò. Crudi e diretti nel dirigere questo nuovo romanzo criminale pregno di profumo di strada, un bel pò agiografici nel tratteggiare il mito di Vallanzasca, eppure costantemente veementi ed allo stesso tempo sfacciati nel mettere in fila fiumi di parole e concetti che si inerpicano tra il cruditè dei fatti narrati e la credibilità didascalica di chi sa quel che dice.
Il risultato finale è un disco sincero ed essenziale, che probabilmente servirà agli amanti del genere per sentirsi a casa e fare da contraltare alla deriva talvolta leziosa e fin troppo pulita delle innumerevoli produzioni presenti in classifica. Perchè come detto in principio d’articolo, si tratta pur sempre delle vecchie stesse storie, ma la differenza è fatta dal modo in cui vengono raccontate.
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