L’Alienista: il nuovo Mindhunter ambientato nell’800
La nuova serie targata Netflix, L’Alienista, rafforza la componente thriller investigativa della piattaforma streaming. Tra profili criminali e aspetti macabri dell’investigazione
Tutti gli appassionati di Netflix e in generale delle serie TV sicuramente non si saranno lasciati sfuggire Mindhunter, serie crime noir sbarcata sulla piattaforma lo scorso 13 Ottobre. A distanza di qualche mese, sul servizio streaming debutta una nuova serie analoga: L’Alienista.
Basata sul romanzo omonimo del 1994, scritto da Caleb Carr, la serie nasce come dramma poliziesco apparentemente semplice.
In realtà, l’obiettivo che L’Alienista si pone è quello di raccontare la nascita del criminal profiler, figura che nelle Forze dell’Ordine è oggi di primaria importanza. Siamo dunque davanti ad una serie di forte impatto psicologico, che non disdegna però l’aspetto macabro della situazione, con scene molto suggestive.
Viaggio a tinte noir in un passato prossimo
La trama prende parte nel 1896, precisamente a New York. Ma non è la classica “Big Apple”. La New York de L’Alienista è una città sporca, rozza e corrotta. Uno dei meriti di Hossein Amini e della sua schiera di registi è proprio quello di aver saputo evidenziare per bene quest’aspetto fondamentale.
Protagonista della vicenda è il dottor Laszlo Kreizler (interpretato da un ottimo Daniel Brühl), che si servirà dell’apporto dell’illustratore John Moore (Luke Evans) per indagare su una serie di omicidi aiutando il commissario di polizia Theodore Roosevelt (Brian Geraghty) e la segretaria del dipartimento di polizia Sara Howard (Dakota Fanning).
La situazione è però particolare: questa serie di omicidi è contraddistinta dallo stesso colpevole. Una trama di per sé semplice, che viene poi arricchita man mano con dettagli sulla vita dei personaggi e con il loro background.
L’alienista… delle menti?
Delle analogie con un’altra serie targata Netflix, vale a dire Mindhunter, avevamo già accennato precedentemente. Impressionante come le interpretazioni degli attori ricalchino molto quelle già apprezzate nella serie prodotta da David Fincher.
Daniel Brühl, infatti, riesce a cogliere perfettamente le sfumature, i pensieri, le angosce di un uomo di scienza forense. Compito analogo a quello assolto dal bravissimo Jonathan Groff nell’interpretare il frustrato Holden Ford.
Stessa cosa per i metodi utilizzati, poco convenzionali ma in qualche modo visionari. Siamo quindi di fronte a due menti molto simili, che giocano sull’empatia in ambito lavorativo e sono pronti ad impadronirsi definitivamente della scena cinematografica. La sensazione unanime che accomuna le due serie, infatti, è che senza il proprio protagonista esse diventino quasi anonime.
Altro aspetto accomunante (con le dovute proporzioni) riguarda la fotografia e la regia. Superfluo parlare di Mindhunter (il nome David Fincher è già sintomo di garanzia), l’aspetto che più sorprende de L’Alienista è come, con inquadrature adeguate e con colori molto cupi, la serie riesca a raccontare perfettamente l’ambiente malsano e corrotto della società di fine diciannovesimo secolo.
I dolori spenti del thriller psicologico
Passando agli aspetti meno positivi della serie, vi sono alcune cose che non permettono a L’Alienista di diventare una serie “cult” di Netflix, ma di restare comunque un buon prodotto.
In primis, gli spettatori più esigenti potrebbero reclamare un ritmo lento e compassato, specialmente nei primi episodi della serie. Certo, di sicuro non è un’action series, ma la mancanza di colpi di scena può annoiare in parte gli spettatori, con le vicende che restano ancorate ad un clima stantio.
Altra nota dolente della serie è la colonna sonora. Le musiche, infatti, non riescono ad incidere o ad essere ricordate, restando ancorate al loro ruolo di contorno e non donando atmosfera (quella che servirebbe) alle vicende newyorkesi.
Conclusioni: l’esperimento “alienante” riesce (quasi) del tutto
L’Alienista, nel complesso, ha il dono di intrattenere lo spettatore e di non annoiarlo per tutta la durata della serie. La componente thriller è molto appassionante, come quella psicologica, la trama è godibile sebbene soffra un po’ del ritmo lento.
Ciò di cui effettivamente si sente la mancanza sono i colpi di scena, almeno fino alla metà della serie. Da quel punto in poi diventa tutto più scorrevole. Storia molto appassionante, arricchita da una regia e da una fotografia ottime.
Gli amanti del genere non dovrebbero restare delusi da questo nuovo prodotto Netflix, che mira a colmare quel vuoto di serie thriller a sfondo storico, di cui la piattaforma streaming ha enormemente bisogno.
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