Alfie Evans e l’intollerabile ipocrisia demagogica dell’Italia
Il caso Alfie Evans ha fatto, suo malgrado, da lente d’ingrandimento sul problema imbarazzante del populismo ipocrita che colora lo scenario politico italiano, in un’irrequieta attesa del prossimo caso da strumentalizzare
La vicenda di Alfie Evans, nella sua (inevitabile) tragicità, ha toccato la sensibilità di tutti, assumendo una rilevanza tale da far sentire chiunque – davvero chiunque – in dovere di dire la propria.
Le immense e mirabolanti possibilità offerte dai mezzi di comunicazione e di networking che abbiamo oggi hanno fatto il resto, consentendo a chiunque – davvero a chiunque – di ergersi a paladino dei diritti dei più deboli e dell’inviolabile sacralità della lotta per la (non) vita. Quando si tratta di bambini, si sa, bisogna essere pronti ad intervenire in ogni modo, anche se per la fretta ciò dovesse significare dimenticare di portare con sé due importanti alleati: cognizione di causa e raziocinio.
Questa meravigliosa controversia del nostro tempo, che ci regala la libertà di poterci esprimere liberamente senza dotarci di un filtro per difenderci dalla veemenza delle opinioni altrui, diventa un’arma a doppio taglio difficile da gestire. In molti casi si tramuta in strumento di diffusione di ideologie tutt’altro che genuine, studiate ad hoc per pungolare gli animi, toccare punti deboli e specializzarsi nell’antica arte della demagogia.
L’Italia e l’arte di abbracciare le cause che convengono
Quella di Alfie Evans è la storia drammatica di un bambino affetto da una malattia neurodegenerativa e costretto in uno stato vegetativo giudicato irreversibile dai suoi medici curanti presso l’ospedale di Liverpool. A ciò è seguita la decisione dei dottori di sospenderne le cure.
Questo è un primo fatto oggettivo.
Un secondo fatto altrettanto oggettivo è il fervore, in cui tutti potremmo immedesimarci, di due genitori impossibilitati ad arrendersi ad una realtà tanto atroce quanto inalterabile. Va da sé la spasmodica ricerca di risposte alternative, luci di speranza in un tunnel senza uscita.
Il ricorso ai giudici non regala prospettive utopistiche ed il responso stabilisce la necessità di regalare al piccolo Alfie quiete e pace, interrompendo un accanimento terapeutico definito inumano. La speranza dei giovani genitori, annebbiati dall’intollerabile idea di sopravvivere alla loro creatura, è più forte di qualunque ragionevolezza e la fervida fede nella religione cattolica li spinge a chiedere il trasferimento del piccolo Alfie all’ospedale Bambino Gesù del Vaticano, i cui specialisti hanno in ogni caso confermato l’assenza di ulteriori terapie adottabili per migliorare le sue condizioni.
Arriviamo così al terzo fatto oggettivo di questa vicenda, ovvero l’irragionevolmente spropositata, ardita e caparbia mobilitazione di personalità del panorama politico italiano designatesi autonomamente – e sulla base di nessuna richiesta – protettrici di un piccolo angelo che persone senza vergogna pensano di poter assassinare. E così l’eroismo dell’Italia si concretizza in un aereo militare pronto a decollare per trarre in salvo Alfie Evans e regalargli una nuova non-vita nella patria della solidarietà. Questo, però, non prima di aver – celermente è dir poco – concesso la cittadinanza italiana al piccolo grazie all’impegno dei ministri Marco Minniti e Angelino Alfano. Qui. In Italia. Lo stesso Paese in cui la riforma dello Ius Soli è pateticamente naufragata lo scorso dicembre, accompagnata dalla soddisfazione di un Calderoli trionfante al punto da far pensare che avesse scampato per un soffio il batterio della peste nera. E la battaglia prosegue con la determinazione degli esponenti di centrodestra, tra cui Matteo Salvini e Giorgia Meloni, uniti nell’intenzione di portare avanti la lotta e rapidi nel presentare una mozione per proseguire l’azione diplomatica. L’indignazione si esprime soprattutto attraverso i canali social, collegamento diretto tra la bocca di chi sa su cosa far leva e le orecchie di chi cerca paladini da idolatrare.
Dopo l’inevitabilmente drammatico epilogo di questa vicenda, il leader del Carroccio Matteo Salvini chiede con convinzione che sia fatta piena luce sulle morte di Alfie. Qui. In Italia. Lo stesso Paese in cui Stefano Cucchi, Federico Aldrovandi, Giuseppe Uva e gli altri definiti “morti di Stato” riposano senza pace dimenticati da un Paese che non si è mobilitato con la stessa trascinata passione per fare chiarezza su altrettanto tragici epiloghi.
Il terzo fatto oggettivo di questa storia è la disarmante ed imbarazzante demagogia offertaci dallo scenario politico italiano, che come una bestia vorace si nutre avidamente della tensione emotiva di un popolo per sua natura perbenista, cavalcando con grande maestria la scia rilasciata dal pathos di una tragedia che meriterebbe il rispetto del silenzio.
Intanto, questa pausa forzata attende solo di essere sbloccata dal prossimo evento da strumentalizzare.
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