Pd, Renzi e il destino dopo il Referendum
Il Pd, dopo la debacle di domenica scorsa, si appresta ad affrontare la direzione nazionale. Dopo le dimissioni dal Governo, in dubbio anche gli equilibri politici interni
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Un divertente corto animato di Bruno Bozzetto, noto disegnatore e regista italiano, dal titolo Europa & Italia, mette in evidenza, in tono scherzoso, le divergenze fra il popolo italiano e quello “europeo”.
Una delle scene clou del cortometraggio è quella in cui viene rappresentata una competizione elettorale, dove, facendo riferimento all’Italia, si vede uno spostamento di massa verso i vincitori anche di coloro che sono stati sconfitti.
Una vicenda non del tutto dissimile è possibile ritrovarla anche nella realtà, in cui un Pd dilaniato dalla scottante sconfitta referendaria vede avvicinarsi sempre più la fine, o almeno il tramonto temporaneo, dell’area renziana.
Infatti, le dimissioni da Presidente del consiglio e il probabile passo indietro nella gestione del partito, mettono in evidenza una crisi dell’area di riferimento di Renzi tale da rendere utile una specifica analisi sulla situazione.
Dal punto di vista politico, con le dimissioni da Capo dell’esecutivo, si è assistito ad un’erosione di quella maggioranza bypartisan che ha caratterizzato il biennio dell’ex Sindaco di Firenze.
Infatti, venuto meno il ruolo da “collante” del Segretario Pd, è andata in scena una sorta di “tana libera tutti” che ha permesso all’UdC di abbandonare l’intergruppo con l’NcD, agli alfaniani di richiedere elezioni a febbraio e ai verdiniani di muoversi in totale libertà fino a nuovo ordine.
Gli ultimi, in particolar modo, potrebbero tornare protagonisti subito dopo la direzione nazionale Pd di domani, in quanto conservano ancora una chance che potrebbe renderli determinanti in un nuovo contenitore ibrido (magari guidato dallo stesso Renzi).
Dal punto di vista partitico, invece, la situazione risulta tanto complessa quanto incerta
In pratica, considerando i renziani come un gruppo che lega la propria esistenza a quella del leader politico e partitico, l’area maggioritaria del Pd sta attraversando una fase di litigiosità da un lato e redenzione dall’altro (caratteristica che ha investito, di volta in volta, gli ex dalemiani, poi franceschiniani, poi bersaniani, poi lettiani ed infine renziani).
In questo “marasma” generale, a complicare maggiormente le cose è soprattutto il rapporto con gli amministratori locali, difesi ad oltranza fino al voto nonostante le debacle giornaliere, che attraverso il fallimento referendario regionale hanno contribuito alla sconfitta del 4 dicembre.
Sul banco degli imputati ci sono i “governatori” che più di tutti avrebbero dovuto contribuire all’affermazione del Sì, De Luca e Pittella, che con il loro misero 30%, o poco più, non solo hanno evidenziato una “scarsa rilevanza” politico/elettorale sul territorio ma hanno anche mostrato la loro reale valenza, politica si intende, che li pone da un lato come totalmente distaccati dalla comprensione della realtà e dall’altro come “mine vaganti” in un più ampio contenitore all’apparenza pluralista (i renziani per l’appunto).
L’appuntamento in direzione nazionale, quindi, diviene ancor più fondamentale nel determinare le sorti del Paese e del partito di maggioranza relativa, nell’attesa di veder ricucito, o meno, l’ampio strappo dettato dalla “batosta” di una domenica di dicembre.
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