Aumento costo pane, l’allarme lanciato da Confartigianato Sardegna
Aumento costo pane: l'allarme lanciato da Confartigianato Sardegna
Aumento costo pane una conseguenza del caro energia. E’ questo l’allarme lanciato da Confartigianato. A finire sotto la lente d’ingrandimento anche le imprese sarde strette dalla morsa dell’aumento dei costi dell’energia.
Un aumento sensibile dei costi che va a scaricarsi sul prodotto finale.
Anche le imprese sarde strette nella morsa dell’aumento dei costi dell’energia e delle materie prime.
“Le nostre realtà della panificazione sono preoccupate per l’abnorme crescita dei prezzi di gas, energia, materie prime e materiali di imballaggio già in atto da alcuni mesi – spiega Maria Amelia Lai, Presidente di Confartigianato Imprese Sardegna – dai calcoli effettuati sempre dal nostro Ufficio Studi, su dati del GME, rispetto al 2021 un molino che utilizza quasi 1,5 milioni di kWh/anno, potrebbe subire un aumento anche del 220%, passando da 131 a 420 mila euro di costi mentre un panificio, con un consumo medio di 150mila kwh, potrebbe patire un aumento anche del 145%, passando da quasi 21mila a oltre 51mila. Inoltre confrontando le fatture di acquisto di questo inizio anno con quelle dell’anno scorso, si nota come in media le farine di grano tenero per panificazione siano cresciute del 25% mentre la semola di grano duro del 60%”.
Nell’Isola i panificatori artigiani sono 732 con oltre 3mila addetti che quotidianamente fanno arrivare il prodotto fresco sulle tavole dei sardi.
Divisi tra produzione e vendita, in ogni periodo dell’anno rappresentano una importante figura di riferimento per tutti i consumatori: la notte lavorando nei laboratori e la mattina vendendo il pane nei punti vendita o distribuendolo casa per casa.
Quello della panificazione sarda è settore fondamentale per l’alimentare isolano. Secondo l’analisi dell’Ufficio Studi di Confartigianato Imprese Sardegna, su dati Istat, ogni giorno si sfornano oltre 100mila tonnellate di pane fresco per oltre 800 i tipi di prodotto. Per ciò che riguarda i consumi, sono 730.510 famiglie sarde che in media spendono ogni mese circa 21 euro per acquistare civraxiu, moddizzosu, pane carasau, etc. Partendo da questo dato è possibile stimare che in media la spesa annua sostenuta da tutte le famiglie dell’Isola per l’acquisto di pane ammonta a 186 milioni di euro.
Gli aumenti dei costi energetici aggiunti a quelli del grano e delle materie prime, però, solo in minima parte hanno traslato la loro azione sui prodotti al consumo che, quindi, hanno continuano a registrare variazioni dei prezzi molto inferiori all’inflazione media e in linea all’inflazione alimentare.
Per questo i panificatori denunciano una situazione di inflazione anomala: crescono i prezzi di produzione ma l’economia è ferma e i consumatori fanno fatica a comprare perché il lavoro si è ridotto o c’è timore di spendere, con conseguente stagnazione dei consumi.
“Le imprese, quindi, non riuscendo ad assorbire i rincari, per coprire almeno il costo di produzione, sono costrette a intervenire sui prezzi del prodotto finito – continua la Presidente Lai – praticamente non avendo nessun margine, queste realtà, che si sono salvate dal Covid, rischiano di spegnersi definitivamente. Il Governo, quindi, deve intervenire in modo deciso sia per raffreddare i costi per le attività produttive, sia con misure a favore delle famiglie, per sostenere il potere di spesa e garantire occupazione stabile”. “Il settore non sa fin quando potrà resistere senza interventi di sostegno – rimarca il Segretario Regionale, Daniele Serra – perché è difficilissimo recuperare tali costi essendo talmente elevati e non ristorati con validi effetti dai provvedimenti adottati dal Governo dovrebbero intervenire sui costi di sistema. O le istituzioni danno un segnale con interventi di calmierazione e sgravi o molte aziende della panificazione rischiano di chiudere”.
Inoltre sul settore grava anche la concorrenza del semilavorato estero.
“C’è un divario di trattamento tra le nostre imprese e i paesi esteri – conclude il Segretario – perché le straniere beneficiano spesso di tariffe energetiche inferiori a quelle italiane, le nostre realtà rispettano tutte le regole comunitarie, compresi i controlli che hanno dei costi, a partire dalla materia prima fino al prodotto finito. Dall’estero invece non è detto che attuino tutte le norme e non è detto che rispettino i contratti di lavoro”.
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