Avvocatura, un problema di tutti
L’Avvocatura, e quindi la difesa del cittadino, è diventato un problema di tutti e non solo e più dei liberi professionisti
[ads2] Essere difesi da un avvocato è un tassello del mosaico del nostro sistema giudiziario che dovrebbe fondarsi sugli ideali di equità, probità e giustizia, ma questo schema in Italia sta diventando sempre più improbabile.
Vuoi farti difendere da un avvocato? Dall’anno prossimo dovrai rivolgerti a uno blasonato, molto probabilmente costoso e non per questo necessariamente bravo perché se questi avrà titolo a esercitare l’avvocatura non è detto che lo possa fare perché appunto capace (ipoteticamente parlando s’intende), ma diversamente e certamente perché in grado di pagarsi tutte le spese per sostenere la propria attività (ergo a darti, nel caso, solenni bastonature di onorario!).
L’avvocatura però non è imprenditoria che deve fare cassa, ma una funzione di garanzia per la persona che si rivolge al legale di fiducia per essere tutelata anche e soprattutto contro i colossi industriali e finanche avverso lo Stato o gli enti locali.
Il problema nasce dal fatto che nelle alte sfere, Consiglio Nazionale Forense (C.N.F.) e Cassa Forense (C.F.), si è deciso che i più ricchi (i vecchi avvocati in special modo) debbano andare avanti a scapito dei più poveri (i giovani per capirci). Chi non arriva alla soglia dei 10.300,00 Euro netti l’anno (circa 15 mila lordi) sarà cancellato dall’Albo degli avvocati.
Inoltre, e comunque sia, chi ci arriverà, a stento avrà una pensione da fame sulla falsariga della pensione sociale INPS. Se questa è “libertà, eguaglianza e fratellanza” (principi che in questi giorni si rimarcano a gran voce dopo l’attentato a Charlie Hebdo a Parigi) allora non so cosa possa esserlo davvero.
Alcuni giovani avvocati, costituitisi nell’associazione A.GI.FOR. (Ass. Giovanile Forense), hanno deciso di non sottostare a questa che è stata definita una “bestemmia giuridica” (v. articolo su L’Espresso in merito alla contribuzione minima obbligatoria) con l’intento di tutelare davvero se stessi, tutta l’avvocatura (salve le opinioni contrarie) e quindi anche e indirettamente i cittadini, e hanno proposto un Ricorso al T.A.R. del Lazio (che invito a leggere almeno nel motivo di diritto n. 2 – pura poesia) contro la C.F. predetta e paradossalmente il C.N.F. si è costituito nel procedimento per affiancare la Cassa (composta da avvocati con almeno 10 anni di anzianità similmente al C.N.F.). Tralasciando l’illegittimità di tale azione del Consiglio come pure sostenuto dai giovani avvocati, c’è quindi un palese sodalizio fra le due compagini forensi (ma questo nell’ambiente legale era già ben noto).
L’azione è volta a ottenere il riconoscimento di un trattamento giusto, equo e proporzionale per i giovani avvocati ai fini dell’accesso all’avvocatura più che della contribuzione previdenziale e, in particolare, a rendere l’iscrizione alla Cassa non obbligatoria e soprattutto a eliminare l’obbligo di raggiungimento della predetta soglia, che non è altro che una discriminazione professionale, sociale e contributiva che vìola i principi costituzionali (ognuno ha diritto di contribuire in modo proporzionale ecc. ecc.).
Si legge espressamente nel Ricorso presentato: ” […] L’ente di previdenza, infatti, essendo composto esclusivamente da rappresentanti del vertice del ceto professionale degli avvocati (il diritto di elettorato passivo spettando, infatti, solo agli avvocati con più di dieci anni di regolare e continuativa iscrizione alla Cassa), appare, ictu oculi, essere stato condizionato, nel determinare la contribuzione previdenziale, dall’interesse corporativo di limitare l’accesso alla professione, con l’effetto di restringere la concorrenza […] “.
Più precisamente, poi, come ricorda l’avv. Castellano, nell’art. 21 L. 247/2012 (il Regolamento della Cassa) non c’è solo il problema previdenziale (che è solo strumentale), ” […] perché con la norma in questione il Legislatore non è certo afflitto dal fatto che i sottosoglia resterebbero privi di copertura in quanto per questi già esisteva la copertura dell’INPS alla cui iscrizione era legata una contribuzione proporzionale, senza vincolo di contribuzione minima”. E lo stesso avv. continua dicendo che “Alla contribuzione minima obbligatoria di Cassa Forense non conseguirà il pagamento di una pensione minima perché questa esige il rispetto di requisiti (se paghi il minimo non ti verrà dato altro che lo stesso importo di una pensione sociale che spetta a tutti di diritto) che, tra l’altro, C.F. potrebbe mutare stante la sua autonomia normativa“.
Dunque, a dispetto dell’avvocatura generalmente intesa, viene fatto prevalere l’equilibrio finanziario di una Fondazione privata che detta da tempo a se stessa e ai propri adepti le proprie regole. Saviano dice che si deve scrivere, che la penna è più letale di un AK47, ma, ultimamente, penso che la scrittura non stia dando i suoi frutti (men che meno nelle aule giudiziarie) e, tuttavia, non trovo miglior armi se non quelle del racconto e della denuncia per iscritto.
Che dire, quindi, dei praticanti avvocati che avevano iniziato questo percorso prima della previsione delle nuove norme e che ora si vedono sgretolare il sogno di lavorare in questo settore e, ciò, vale anche se l’obiezione contraria è sempre quella del “siamo troppi!” perché non giustifica l’iniquità delle regole. E a maggior ragione, questo problema dell’avvocatura non può essere trascurato perché ne va non più della sola sopravvivenza dei giovani avvocati liberi e di quelli slegati da logiche lobbyste e di potere, ma della stessa libertà e garanzia di difesa giudiziaria degli italiani.
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