20 Maggio 2017 - 09:43

Basilicata mia come ti hanno ridotta – PARTE II

Basilicata

La Basilicata torna in cima alle cronache nazionali per il nuovo caso sulla assunzioni nella FCA di S. Nicola di Melfi. L’episodio, però, rivela una realtà molto più complessa e che, come spesso accade, si rende specchio della situazione nazionale

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La Basilicata da diversi anni è divenuta, ahimè, celebre esclusivamente per casi eclatanti che hanno dipinto la realtà lucana come un ambiente in seria difficoltà politica, culturale e sociale.

Dopo, l’archiviato ma tutt’altro che risolto, caso Petrolio, in cui era coinvolta anche l’ex Ministra Guidi, a sconvolgere le coscienze nazionali è, senza dubbio, il nuovo caso FCA.

Lo stabilimento di S. Nicola di Melfi, uno dei maggiori investimenti della ex casa torinese nel meridione, è balzato all’attenzione delle cronache nazionali per una peculiarità che fa ben intendere quale sia la nuova concezione del lavoro nella realtà lucana (e non solo).

Infatti, a seguito della denuncia del dimissionario Vescovo di Melfi Mons. Gianfranco Todisco, è venuto alla luce un nuovo sistema Basilicata, legato a doppio nodo tanto al Jobs Act quanto all’applicazione stessa della sciagurata riforma del lavoro.

Basilicata

In pratica, Todisco ha denunciato un sistema di tangenti (confermato da una madre della provincia di Foggia nei giorni successivi) tra privati cittadini e sindacati (in particolar modo, ma non sono gli unici), in cui la somma di denaro sborsata (5.000 euro) garantiva un posto all’interno dell’indotto FCA del vulture – melfese.

L’agghiacciante modo di intendere sia la dignità della persona che il diritto all’attività lavorativa, garantito dalla nostra Costituzione repubblicana in più articoli, ha permesso di concepire la questione sotto diversi punti di vista, arrivando a intendere la piccola, ma disastrata, regione del Sud Italia come avvolta in un sistema assai più complicato di quello che si vede.

In sostanza, la questione lavoro/tangenti mette in risalto diverse riflessioni che fanno riferimento da un lato alla visione puramente localista (spesso specchio di una realtà nazionale più ampia) e dall’altro ad una nuova raccapricciante teoria del lavoro.

Considerando il primo ambito, che inevitabilmente ha confermato le voci (spesso faziose) che da diversi anni ruotano attorno al reclutamento in Basilicata, si può dire che ciò che è stato creato porta alla formazione di un particolare sistema chiuso, di stampo regionale, che è tenuto in piedi da una serie di legami fondati sulla rappresentatività politica (e sindacale), il lavoro e la non belligeranza fra le parti.

Questa particolare situazione, come detto specchio dell’intera Italia, è resa ancor più forte dal celebre Jobs Act che, in un periodo storico fondato sulla precarietà totale, permette di instaurare più facilmente “legami di interesse” e, allo stesso tempo, sminuisce l’importanza del lavoro e il concetto di meritocrazia nella nostra società.

A tutto ciò, si collega direttamente la seconda problematica che punta il dito contro l’insolita concezione dell’occupazione nella nostra Nazione.

Con la cancellazione di qualsiasi garanzia sul lavoro, la nostra società si trova immersa in un apparato in cui le “redini del gioco” sono totalmente nelle mani di chi offre lavoro.

In questa particolare situazione, oltre a incidere sulla “vita e la morte” (lavorativa) del singolo individuo, ciò che maggiormente emerge è la fine definitiva del merito, e delle capacità personali, a scapito della riverenza incondizionata verso il datore di lavoro.

Tutto ciò, oltre ad avvantaggiare l’odiosa teoria del “più furbo” e non del “più bravo”, porta alla costruzione di un impianto in cui solo pochi eletti sono destinati ad incidere sulle sorti del proprio territorio.

Una volta si diceva che il lavoro nobilitava l’uomo ma, con il passare degli anni, si è ben compreso che questo nobilita esclusivamente chi ha già i mezzi necessari e chi furbescamente riesce a mettere KO qualsiasi altro competitor.

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