1 Novembre 2019 - 18:15

Bojack Horseman 6 e la forza di perdonare e accettare se stessi

bojack horseman 6

La sesta stagione di Bojack Horseman, prodotta da Netflix, è l’ennesimo capolavoro, grazie anche ad una sontuosa sceneggiatura

Bojack Horseman ci distrugge. Lo fa con sfrontatezza ed efficacia, con tutti i suoi elementi a noi ormai noti. Lo fa Bojack, ma non da solo. Perché è una stagione, questa conclusiva, che risulta essere corale – che lascia anche spazio alla depressione e alle incomprensioni sentimentali di Diane, alle difficoltà di trovare il proprio equilibrio da parte di Pricess Carolyn, al disagio – quasi esistenziale – di Mr. Peanutbutter di trovare la felicità e la donna giusta.

Non è un filone univoco, una narrazione pulita, lineare (come comunque poche volte è avvenuto nel corso delle passate stagioni, esclusa la penultima). È, tuttavia, più attenta alla ricerca delle cause del malessere dei protagonisti, come conscia del fatto che il cerchio stia per chiudersi.

C’è davvero luce in fondo al tunnel?

Una relazione, almeno all’apparenza, non distruttiva. Un lavoro soddisfacente, una casa, una parvenza di stabilità. Per Diane sembrerebbe il momento migliore, la meritata e conquistata felicità. Eppure, sembra tutto diventare incolore, quello tipico della depressione. Il rapporto con Guy è conflittuale quanto basta, ma il toro di Chicago non è Bojack. Non lo è affatto. Il lavoro per Girl Croosh è entusiasmante, ma ben presto il network viene rilevato e smontato della sua essenza (una dura critica all’industria televisiva odierna), costringendo la Nguyen a lavorare su altro, a servizi pessimi. E poi la sua biografia, l’essenza del proprio io che si sostanzia in carta ed inchiostro. Qui sgorga, in mille rivoli, il malessere – di quel tipo che facilmente nascondiamo sotto il tappeto – dello stare al mondo. Odiare se stessi, sottolineare i propri fallimenti, colpevolizzarsi, umiliarsi. Fondamentalmente, arrendersi. Il vortice in cui è stata inghiottita la scrittrice ci è fin troppo familiare, un tema ricorrente soprattutto nella vita di Bojack. Eppure, qualcosa cambia inaspettatamente. Positivamente. Si tratta di un’epifania di se stessi: un proprio riconoscimento allo specchio, con pregi e difetti. Ricominciare, non da zero, ma da una cifra approssimativa: perché è fondamentale non dimenticare il passato – quello che ha visto raschiato pelle e cuore – per essere veramente se stessi, perché il tedio non va nascosto, o chiuso in un cassetto. L’ombra, l’oscurità che alberga in ognuno di noi, va condivisa, va convissuta. Va semplicemente accettata, e questo Diane – pare – finalmente lo abbia capito.  

Immagine dalla Sesta Stagione di Bojack Horseman (Netflix)

Il peso delle responsabilità, l’inadeguatezza al “ruolo”

Ha passato le intere cinque stagioni a prendersi cura, nel bene e nel male, dei suoi “ragazzi”, da Bojack a Mr. Peanutbutter, Diane e Todd. Tutto questo mentre portava avanti i suoi affari.

Ma essere madri è, fortunatamente, diverso. Diverse sono le responsabilità, diverse devono essere indubbiamente le attenzioni. Ma Pricess Carolyn, personaggio straordinario per la sua complessità e per le sue sfaccettature, ci ha mostrato finalmente qual è la difficoltà per una donna e una madre affrontare, parallelamente, la propria carriera. Una carriera ha sempre avuto una predominanza maschile (e speriamo non per sempre), da titani. Un mondo maschilista e unidirezionale. Ci mostra, la Gatta di Hollywoo(d), uno spaccato che conosciamo dall’esterno, e vorticosamente ne siamo risucchiati nel cuore: le tante “personalità” di Pricess Carolyn che si sommano, in modo ingombrante ed asfissiante, goffamente – rappresentano ognuno di noi nella perenne lotta con il proprio io nel rispondere ad alcune cruciali domande: “Sono all’altezza? Sono abbastanza? Sono nel posto giusto? Dovrei mollare tutto? Ho sbagliato tutto?

Pricess Carolyn, mai come in questa stagione, è il nostro specchio. Eppure, ci dice qualcosa in più riguardo alle proprie volontà: di fronte alle sfide della vita, non c’è necessità di cambiare, ma di lottare restando sempre se stessi.

Immagine dalla Sesta Stagione di Bojack Horseman (Netflix)

Bojack, se la rehab è la soluzione

È il tempo di riflettere, di percorrere a ritroso la propria vita. Bojack l’ha fatto alla grande, partendo sin dall’età adolescenziale, lì – forse – dove pian piano si è sedimentato il suo malessere, così anche la sua necessità di aiuto, di essere amato, compreso.

L’ex star di Horsin’ Around, tuttavia, non può cercare nelle assenze del passato le ragioni che lo hanno portato ad essere l’esempio “vivente” del narcisismo fatto cavallo. Bojack è stato troppo spesso spregevole, immaturo e, soprattutto, indifferente davanti alle sofferenze degli altri. Questo, finalmente, pare averlo capito. Ecco perché le sue scuse a Todd, Diane, Pricess Carolyn, persino a Mr. Peanutbutter. Perché è una necessità dell’essere umano, chiedere perdono.

Vivere in pace con gli altri vuol dire, in prima istanza, vivere in pace con il proprio io. Perdonare se stessi per tutti gli errori, anche quelli reiterati, perdonarsi per il male inflitto agli altri, anzi aiutare il prossimo, è il primo passo per una vita normale, quantomeno, degna di essere vissuta. Ebbene la rehab di Bojack non si conclude con una scontata “guarigione”, con la sconfitta definitiva dei suoi demoni, bensì – ed è questa il nodo fondamentale – con il riconoscimento di ciò che lo ha sempre ferito. Bojack è finalmente una persona consapevole.

Eppure, e questo potrebbe essere il tema della seconda metà di stagione, i danni perpetuati dal protagonista potrebbero non essere finiti, anzi.

Un capolavoro di sceneggiatura

Doveva essere la stagione della rinascita di Bojack. Lo è stato, in parte. Così come lo è stato, un po’ inaspettatamente, anche per il resto della gang di Hollywoo. Tutte giovani fenici che rinascono dalle ceneri di passati sconfortanti, famiglie distrutte, incomprensioni e fallimenti. Eppure, il cuore è stato gettato oltre l’ostacolo con la forza delle parole, del comunicare al prossimo il proprio stato.

La sesta stagione è stata indubbiamente un capolavoro di narrazione e sceneggiatura, tra le migliori dell’intera serie. Cupa, non meno né più delle altre season, ma reale, vera, a volte cruda. E sono esattamente questi i requisti che il pubblico, sempre più esigente – ma anche edotto – ricerca nel prodotto Netflix. Con Bojack Horseman ciò che è certo è che la felicità non è uno stato imperituro. Va colto, nel momento giusto. Va condiviso, non va fatto scappare, senza rischiare di vivere incessantemente alla sua ricerca.