26 Marzo 2020 - 11:50

Coronavirus, le reali origini del Covid-19: perché NON nasce in laboratorio

coronavirus bollettino, vespignani

Il nuovo coronavirus non nasce in un laboratorio. Una recente ricerca, pubblicata su Nature, spiega come il virus si sia trasmesso da animale a uomo

La pandemia che l’umanità sta vivendo in questo periodo è stata causata dal nuovo, ma ormai famosissimo, coronavirus, altresì detto SARS-CoV-2, che causa il Covid-19. Si tratta del settimo coronavirus conosciuto: i “cugini” più affini sono SARS-CoV, MERSCoV, HKU1, NL63, OC43 e229E (queste le sigle utilizzate per chiamare gli altri virus). Una recente ricerca condotta da Kristian G. Andersen, Andrew Rambaut , W. Ian Lipkin, Edward C. Holmes  e Robert F. Garry e pubblicata sull’autorevole rivista Nature lo scorso 17 marzo, mette in luce come SARS-CoV-2 non sia un artefatto di laboratorio. Vengono infatti analizzati diversi aspetti del genoma del virus che spiegano in maniera inappuntabile come la trasmissione sia avvenuta da animale ad uomo.

Principali caratteristiche del genoma

Gli studiosi hanno analizzato un aspetto importante del genoma di Covid-19: quello di avere un’importante affinità a legarsi ai recettori ACE 2 umani. In questo contesto hanno un ruolo cruciale i domini di legame del recettore (RBD). Il coronavirus si è dimostrato possedere un RBD che si collega con elevata affinità ai recettori ACE 2 di esseri umani, furetti, gatti e altre specie con elevata omologazione del recettore. Questo è stato dimostrato con analisi biochimiche mentre analisi computazionali basate anche sul genoma di SARS-CoV (1, ndr), dimostrano che in realtà l’affinità non è così elevata. La spiegazione, quindi, sta nel fatto che il genoma è naturalmente mutato nel tempo e nel passaggio da un organismo all’altro.

Origine del Coronavirus

Sulla base di analisi genomiche approfondite, come in parte spiegato in precedenza, è realisticamente impossibile che il SARS-CoV-2 sia un artefatto di laboratorio perché i domini del legame del recettore (RBD) sono mutati per adattarsi ai recettori umani attraverso un processo naturale. Se pure fosse stata adoperata una manipolazione genetica, esistono diverse tecniche in laboratorio per ritornare alla forma originale. Resta quindi da spiegare la reale origine del virus e gli studiosi propongono due possibili scenari.

Selezione in organismi ospite

Poiché i primi casi di Covid-19 sono legati al mercato Huanan di Wuhan, è plausibile pensare che l’inizio della zoonosi (trasmissione da animale ad uomo), sia collegata proprio a quel contesto. Una specie particolare di pipistrello, Rhinolophus affinis, presente in quel mercato, è risultato avere un SARS-CoV-2 compatibile al 96% con quello umano; tuttavia, differiva proprio nel RBD, caratteristica che lo rende affine ai recettori umani. Un’altra specie animale, il pangolino (Manis javanica) che viene illegalmente importato nella provincia del Guangdong, contiene un SARS-CoV-2 molto simile a quello umano anche nel dominio RBD. Questa è la prova cardine per dimostrare la selezione naturale che il virus ha effettuato nell’arco del tempo.

Selezione nel contagio uomo-uomo

Un secondo scenario probabile è che una forma ancestrale di coronavirus sia entrata in contatto con un organismo umano e che abbia dato inizio ad una epidemia inter-umana “nascosta”. Nel passaggio da un uomo all’altro, il virus ha acquisito e modificato il suo genoma in modo tale da adattarsi a quello dell’ospite, fino a raggiungere la sua forma definitiva, quella che ha dato origine alla pandemia.

L’ipotesi della fuga da un laboratorio

Bisogna affermare, però, che già da diversi anni si studia in colture cellulari di laboratorio di biosicurezza di livello 2 la trasmissione del coronavirus presente nei pipistrelli all’uomo. È possibile quindi che nel passaggio da una coltura all’altra il virus abbia mutato il suo genoma per divenire infettivo per l’uomo ed è anche possibile che in qualche modo si sfuggito al biocontenimento del laboratorio. Tuttavia, le ricerche genomiche che hanno acclarato le elevatissime affinità dei recettori del SARS-CoV-2 presenti nei pangolini, rappresentano una prova molto più forte e plausibile dell’origine animale dell’agente virale.