4 Febbraio 2018 - 13:20

Corpo e Anima, la recensione di Zon.it del film vincitore dell’Orso d’Oro

Corpo e Anima

Zon.it ha recensito la pellicola Corpo e Anima, vincitore di un’Orso d’Oro come Miglior Film al Festival internazionale del cinema di Berlino

Ci sono due cervi nel bosco nei primi minuti di Corpo e Anima (nel suo paese Testről és lélekről), opera ungherese della regista nascente Ildikò Enyedi. Due cervi, dicevamo, in uno scenario onirico, voragine del vissuto, risposta al dolore dei giorni da svegli. Un esemplare maschio schivo e una femmina sfuggente, che si toccano, si scrutano.

Il loro mondo, in alternanza ad un altro meno libero, quello reale, più sconcertante: un mattatoio, dove anche gli animali, le mucche, già sconfitte in partenza mirano con lo sguardo il sole nel cielo. Presto verranno decapitate, passeranno per il controllo di qualità e per essere messe in commercio.

La responsabile al controllo di qualità e il gestore capo del mattatoio, scopriranno ben presto, lei imprigionata in manie di controllo che le compromettono una vita agevole, lui senza sensibilità al braccio sinistro, di avere un sogno in comune.

Di notte, entrambi si sognano da cervi. Unici “corpi” a non interagire da “carne”. Corpi che sono altro, che tendono a pesare di meno, a muoversi con audacia e dignità. Il loro sogno è un’isola del freddo, dove sono gli unici protagonisti. Lui le riserva foglie, lei a volte le trova amare, ma forse, come farebbe una cerva innamorata e gentile, le preserva con armonia.

Corpi, i loro, che sono “presenza” fisica di una fede, di un amore, di una comunicazione abbattuta nel contemporaneo. Comunicazione vandalizzata dalla desolazione della tecnologia digerita male, corpi infetti e pieni di scompenso, umiliati dall’incomunicabilità.

Loro due, da svegli, sono il prodotto sbagliato di un mondo che interagisce da lontano senza sentirsi appartenere, senza tocchi. E la carne, quella declassata nei mattatoi, non è la metafora di una regista poco intelligente che si ritiene “green” o animalista. Quella è la carne già prodotto inflessibile, mortifero, dei rapporti dove non esiste più delicatezza e leggerezza, dove anche il sesso è un consumo spendibile facilmente, dove tutto si compra e si “vende”.

Tutto è effetto o causa di un circolo vizioso dettato dal consumismo. Eldikò Enyedi è una regista intelligente. Ma se è vero, che in Corpo e Anima i cervi nei sogni dei due protagonisti sono gli ultimi a scomparire per rendere vita, finalmente, per restituire una “realtà”, sembra che Eldiko non abbia la stessa mano delicata della delicatezza che vuole raccontare. Non funzionano bene i tempi, ma soprattutto una buona parte centrale della pellicola non modera i toni, passa con mano pesante dalla leggerezza della commedia alla tragicità del vissuto, un mix su cui si gioca spesso in questi ultimi anni al cinema a partire dalla collega polacca di “Corpi” e finire al “Toni Erdmann” tedesco.

Ma se quest’ultimo non soffriva di una meccanicità e di un apparato troppo cerebrale perché più libero, in Corpo e Anima sembra che le inflessibilità della protagonista e la sua severità di comportamento siano anche una colpa di stile, un po’ algido e prepotentemente sostenuto proveniente dalla regista, tanto che a volte la violenza sembra ricattatoria e indigesta nel farsi per forza “monito” e “messaggio”, come la quantità di carne accatastata nel mattatoio.

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