15 Gennaio 2016 - 11:00

Cremaster 3, cinema scultoreo nel Guggenheim

cremaster 3

Il ciclo di Matthew Barney termina con il Cremaster 3, punto di ripartenza dell’istanza artistica: dalla hybris alla terza possibilità 

[ads1]All’interno del Cremaster Cycle (trovi QUI la prima retrospettiva), il terzo occupa una posizione centrale e sintetica, da cui il tentativo di fermare il processo creativo si fa terza possibilità: l’indifferenziato. Un’opera complessa, trasversale e un unicum irripetibile, il Cremaster Cycle rimane uno dei tentativi più complessi e suggestivi dell’arte contemporanea. Il Cremaster 3, realizzato nel 2002, è l’ultimo del ciclo, ma la cronologia in Barney è un dato sostanziale, perché posto al centro del ciclo e ultimo nella produzione, “termina” con la consapevolezza di non poter fermare il processo di differenziazione, quindi la fissazione di un linguaggio artistico, dell’opera, restando istanza creativa.

cremaster 3La possibilità, per Matthew Barney, è ciò che “prende forma” tra l’indifferenziazione, identificata nelle gonadi femminili (C1, quando non c’è lotta, né divenire, ma soltanto attesa).

Il mondo femminile fluttua nella forma indifferenziata, nell’instabilità. Diversamente, il C4 pone la situazione della terza possibilità: né femmina né maschio, la forma è antropomorfa, un ibrido, né l’uno né l’altro.

In ordine di produzione Barney fa partire il ciclo dal C4, costruito sulla terza possibilità, che si ricollega al Cremaster 3: se la femminilità è metafora di arte in potenza, che deve ancora differenziarsi, così come nella genetica il maschio è portatore di un gamete diverso rispetto a quello della donna, il C1 è il momento in cui si attende la formazione dell’idea artistica.

cremaster 3Il C5, che è il terzo nella logica produttiva, rappresenta così quel conflitto tra femmineo e maschile, portando alla graduale e dialettica differenziazione: il movimento interno è il fare artistico che modella una forma entro cui comunicare un senso. Questa fase di differenziazione, quindi di trionfo della forma, crolla nel C2 e infine fallisce nel Cremaster 3.

Nel tentativo di liberarsi dal “destino” in cui si è stati creati, “partoriti”, mettendo in scena nel C2 la partogenesi maschile, s’identifica con il mago Houdini e con il killer Gilmore legato alla comunità mormonica: gli alter ego di Barney sono la codificata e autoreferenziale rielaborazione dei modelli culturali.

Houdini come corpo che subisce la trasformazione, Gilmore come tentativo di ribellarsi alla forma precostituita e convenzionale. Una, tra le tante sintesi dell’arte di Barney, si trova in questa corrispondenza iconografica e culturale.

cremaster 3Il momento del Cremaster 3 è la cartina di tornasole e il punto di (ri)partenza del ciclo, quello genetico e quello creativo.

Fare del Guggenheim di New York uno dei luoghi del film, lo proietta in una duplice funzione: non solo contesto e scenografia del ritmo cinematografico, ma spazio espositivo che coincide con spazio esposto.

Il Cremaster si conferma una marcia trionfale verso un cinema come dimensione scultorea: il corpo che cammina nel Guggenheim è opera d’arte esposta, così come il luogo stesso mantiene il suo ruolo convenzionale.

Le figure sono scolpite nello spazio, la regia è aptica andando alla ricerca del contatto con il corpo e con la superficie, il montaggio è fruibile simulando il cammino e il girare intorno al corpo scultura: da cui la tridimensionalità scultorea. 

cremaster 3Il cinema è anche contenitore di memoria di ciò che è stato, è documentazione dell’esperienza artistica che si proietta in uno schermo che arriva ad un pubblico più vasto.

Il cinema è solo un linguaggio dal quale partire per decifrare, restando meravigliati e arricchiti, il cammino di Barney attraverso tre fasi: istanza artistica, tentativo di darle forma, impossibilità di definirla, necessità di continuare a creare in divenire.

Il Creamaster 3 è il cine-corpo, quando il cinema è architettura: spazio fisico all’interno della galleria del Guggenheim di New York.

Un’altra struttura architettonica assume un significato rilevante, narrativo e speculare, rispetto al Guggenheim.

Nel C3 Barney compie il tentativo di raggiungere il vertice (all’interno della struttura massonica) dentro il Chrysler Building. Qui l’artista conferisce una metafora tanto biologica quanto artistica: la sfida tra Hiram Abiff/Richard Serra e l’apprendista/Matthew Barney porta alla costruzione di un edificio che segnerà la morte dell’apprendista, nel tentativo di eliminare il maestro, peccando entrambi di Hybris.

Cremaster_3Hirma Abiff, cercando di costruire l’edificio più alto, metaforicamente tenta di andare contro le regole imposte, così come l’apprendista che prova ad eliminare la partogenesi maschile, e quindi la differenziazione della forma. Entrambi, però, moriranno.

Tale costruzione narrativa è la consapevolezza di non poter fermare il naturale evolversi della forma.

In The Order, summa corporea del percorso artistico di Barney, Richard Serra ripropone la sua performance Casting e Splashing, dove lavorava il piombo. In The Order l’artista invece riattualizza la performance scegliendo la vaselina: materiale sempre usato da Barney, simbolo per antonomasia della trasformazione della forma (deriva dal vomito degli squali).

Citare Richard Serra nel Guggenheim e nel Cremaster 3 porta ad un’unica forma che vede scultura e architettura ricomposta: si attivano così sia lo spettatore come visitatore che fa esperienza, sia lo spettatore come mezzo e veicolo dell’intenzionalità.

Il Cremaster Cycle si può quindi definire architettura del corpo, e il corpo si può interpretare come identità.

cremaster 3Ci avviciniamo così verso la destrutturazione del moderno, e quindi il postmoderno, che porta all’impossibilità di concepire forme integre: ecco perché il Cremaster 3 termina con l’identità che s’identifica nell’ibrido, nel cyborg, nella terza possibilità. 

La filosofa Donna Haraway, ne Il manifesto del Cyborgdescrive la fine del pensiero occidentale edificato su opposizioni binarie: il cyborg è un’identità in divenire, che non ha rapporti edipici col passato e si proietta liberamente nel futuro, è sintesi indistinta, ibridazione con il macchinico, è asessuata e anticlassista: corpo senza organi.

Fusione di maschio e femmina, di cultura e macchina: Matthew Barney è la scultura dell’identità in divenire, della progettualità artistica, dell’arte come possibilità, della trasformazione costante delle forme contemporanee.

Il corpo è solo il risultato cosmico.

cremaster 3Nel Cremaster l’architettura è estroflessione, è una costruzione che s’irradia dal corpo, che si plasma nel corpo e plasma il corpo. Per Barney l’architettura è trascendenza, tecnica per il dominio dello spazio interno/esterno, è incorporazione.

Derivante dal ciclo del Restraint, in cui interpretava l’arte come un esercizio fisico, portando al controllo del corpo fino all’ipertrofia pur di superare il “restraint”, quell’impedimento che permette di passare ad un livello successivo (la forma), Barney giunge all’astrazione, all’ascesi e alla creatività come disciplina.

L’arte, come un continuum inafferrabile, si esprime nel fallimento di essere “produzione” trionfando nella potenzialità, nella terza possibilità, che supera le attese e i codici, per farsi malleabile visione di un mondo in trasformazione.

L’arte dunque, è ricerca, costante ricerca della forma in divenire. [ads2]