27 Gennaio 2017 - 21:47

E lo spirito di Dachau aleggia ancora oggi

Lo spirito di Dachau aleggia ancora oggi

A circa 15 km a nord-ovest di Monaco si trova Dachau, teatro del primo campo di concentramento nazista. Lo spirito del dramma dello scorso secolo, nel Giorno della Memoria, ricorda atrocemente la nostra quotidianità

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Il 27 Gennaio 1945 i carri armati dell’esercito sovietico sfondarono i cancelli del campo di concentramento di Auschwitz in Polonia: quello è diventato il simbolo dell’Olocausto, ogni anno onorato nel Giorno della Memoria.

Foto Rossella Della Vecchia

Mestamente però riduciamo la memoria ad un riepilogo di numeri. Partiamo dal numero 1: il primo campo di concentramento, quello di Dachau, aperto il 22 marzo 1933 su iniziativa di Heinrich Himmler.

Iniziò allora un periodo drammatico che legò per sempre il nome della città alla deportazione nazista. Ancora oggi visitare Dachau è straniante: la vita continua e prolifera intorno e dentro a questo luogo di orrore e morte.

Lo spirito di Dachau aleggia ancora oggi

Foto Rossella Della Vecchia

E come per i deportati di allora, il cancello in ferro battuto apre questo drammatico scenario ai visitatori con la scritta: Arbeit macht frei. Il cinico slogan, come lo stesso campo di Dachau, servì da modello per tutti i campi di concentramento, di lavoro forzato e di sterminio nazisti: era la sistematica e mortale diffusione de “lo spirito di Dachau”.

Inizialmente il campo di Dachau era stato progettato per ospitare circa 5.000 detenuti, ma a partire dal 1942 di media ve ne erano 12.000: infatti a partire dal 1938 gli ebrei tedeschi si aggiunsero ai comunisti e ai socialisti deportati già dal 1933.

Lo spirito di Dachau aleggia ancora oggi

Foto Rossella Della Vecchia

Altri numeri: secondo i dati del Museo di Dachau, qui transitarono 206.206 detenuti, anche se la cifra non è del tutto certa in quanto molti prigionieri non vennero registrati; 41.500 persone vi persero la vita.

Anche il campo di Dachau ha i suoi luoghi della morte: il forno crematorio e la camera a gas, costruiti da alcuni degli stessi detenuti, anche se i destinati alla morte, tra il 1942 e il 1944, furono spediti a Linz in Austria.

Lo spirito di Dachau aleggia ancora oggi

Foto Rossella Della Vecchia

Nell’autunno del 1944 il campo era sovraffollato: i prigionieri affamati erano arrivati persino a cibarsi di topi e si verificarono anche episodi di cannibalismo su cadaveri. Nel novembre dello stesso anno ci fu l’ennesima epidemia di tifo, evento che aumentò i tassi di mortalità: morirono anche molti medici ed infermieri contagiati.

Lo spirito di Dachau aleggia ancora oggi

Foto Rossella Della Vecchia

All’inizio del 1945 giunsero ulteriori prigionieri da altri campi evacuati: era la marcia della morte, come furono rinominati i viaggi estenuanti degli emaciati prigionieri dagli altri campi.

Himmler a riguardo aveva dato ordine di eliminare le persone che non erano in grado di proseguire – altre morirono durante l’ulteriore sforzo della marcia- e il 14 aprile 1945 emanò quello che diede inizio al massacro totale dei prigionieri: nessun deportato doveva essere vivo all’arrivo delle truppe alleate. Nessuno doveva poter testimoniare quell’abominio.

Lo spirito di Dachau aleggia ancora oggi

Foto Rossella Della Vecchia

Il 29 aprile 1945, il giorno prima che Hitler si suicidasse, gli americani entrarono a Dachau: fu il penultimo dei grandi campi ad essere liberato, sei giorni prima di Mauthausen.

Dal luglio 1945, e fino al 1948, il campo venne utilizzato come prigione per le Schutz-staffeln (SS: «squadre di protezione») e fu la sede del tribunale militare per il processo che riguardò i crimini perpetrati a Dachau.

Il 16 ottobre 1946 i forni crematori di Dachau furono riaccesi un’ultima volta, per cremare i 12 cadaveri dei gerarchi nazisti condannati all’impiccagione a Norimberga.

Lo spirito di Dachau aleggia ancora oggi

Ma è lì, dove oggi aleggia ancora un silenzio spettrale e si avverte il terribile rantolo della morte, che ogni visitatore – osservante o irrispettoso che sia –  è un inconsapevole deportato, destinato a morire all’oscuro del reale stato delle cose. All’interno come al di fuori del filo spinato – di Dachau come di altri campi di concentramento – ciò che viene condiviso tra flash e social, risulta poi volutamente ignorato quando lo ritroviamo sul nostro cammino.

E se ricordare è ancora possibile, bisognerebbe avere memoria per imparare: la demagogia che nel secolo scorso portò alle leggi razziali e all’Olocausto ricorda troppo da vicino quella che alimenta la nefasta cronaca quotidiana o la voluta disinformazione dell’Occidente sugli scenari di guerra.

Lo spirito di Dachau aleggia ancora oggi

Foto Rossella Della Vecchia

Qui in Italia il paradosso più grande: un popolo che, a poche ore dalla morte per annegamento del ragazzo del Gambia nel Canal Grande di Venezia, con gli astanti incapaci di intervenire tra i commenti razzisti di alcuni e l’indifferenza di molti, si mostra immotivatamente commosso sui social o davanti ad un film nel ricordo dell’Olocausto.

E mentre nessuno si indigna per questo, o per l’Europa che pensa a muri burocratici, o per Trump che progetta concrete fortificazioni di frontiera, si diffonde vertiginosamente la retorica della divisione, del razzismo, della diversità.

Allora dovremmo ricordare davvero e riflettere sulla storia, ma soprattutto agire perché quanto accaduto non si ripeta.

“Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario, perché ciò che è accaduto può ritornare, le coscienze possono nuovamente essere sedotte ed oscurate: anche le nostre. (Primo Levi, deportato e sopravvissuto al campo di Auschwitz).

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