11 Gennaio 2015 - 10:58

Francesco Rosi, figlio di un cinema cambiato

Francesco Rosi, 92 anni, si è spento a Roma. Il regista napoletano, che si è formato nella grande rivoluzione del cinema italiano, ha scelto sempre il fatto reale

[ads2] Francesco Rosi, regista e sceneggiatore napoletano, muore nella città in cui ha incontrato il clima del cambiamento nel cinema. Recentemente ci hanno lasciato anche Mario Monicelli e Carlo Lizzani, autori che hanno raccontato il nostro Paese con un rigore tanto leggero quanto di denuncia, per lasciare agli italiani e al mondo un’eredità di fatti, politica, storia e cultura.

Vittorio De Sica e Cesare Zavattini, il Neorealismo, Sergio Amidei e Suso Cecchi D’Amico, il Centro Sperimentale e la collaborazione con Luchino Visconti in La terra trema, tratto proprio da un soggetto di Rosi, il teatro con Ettore Giannini: sono maestri e contesti culturali che condizionano quella che sarà l’autorialità di Rosi, avendo fin da subito il bisogno di fare cinema.

Francesco Rosi

Francesco Rosi

Cosa significava e cosa ha significato fare cinema per la generazione tra gli anni ’40 -’70 sono le due domande che occorre porsi per comprendere il personaggio Francesco Rosi. Se pensiamo al cinema così come viene prodotto, distribuito e concepito oggi, siamo molto lontani dal comprendere che cosa siano stati il gruppo di intellettuali e registi che hanno preceduto gli anni ’80, momento in cui il cinema comincia a tramutarsi in convenzionali storie per intrattenere lo spettatore.

Intrattenere è la parola meno indicata per avvicinarci alla filmografia di Rosi, come di altri grandi autori. Il cinema era l’unico strumento, quello più forte e politicamente più incisivo; politica non intesa come schieramento, ma come profondo interesse per il reale, per il fatto quotidiano e per la storia, prendendosi cura del popolo.

Francesco Rosi è stato il regista che ha saputo mescolare realismo e spettacolo, nel senso non di costruzione narrativa invisibile (come nel cinema hollywoodiano), ma come capacità di elaborare il discorso attraverso gli strumenti propri del cinema: ritmo, suspense, coordinazione di masse, linguaggio fluido e dinamico. Allo stesso modo però Rosi era legato al Neorealismo, allo svelamento del reale: film girati sul luogo dei fatti e con attori non professionisti (come Salvatore Giuliano, 1962), il malaffare di stampo napoletano (I Magliari e Le mani sulla città), la ricerca della verità con i film inchiesta (Il caso Mattei, 1972), il volto della guerra nella storia (Uomini contro, 1970). Rosi, come De Sica e Visconti, ha scelto e ha diretto uno dei suoi attori feticcio, per dirlo con un’espressione semplificata: Gian Maria Volonté, con cui comincia a lavorare da Uomini contro fino a Cronaca di una morte annunciata del 1987, restando nella memoria per l’interpretazione ne Il caso Mattei.

Francesco Rosi - Il caso Mattei

Francesco Rosi – Il caso Mattei

Francesco Rosi viene definito un maestro, così come lo sono molti dei suoi contemporanei. Maestri perché hanno insegnato qualcosa: educato alla libertà d’espressione, allenato i nostri padri a guardare la realtà da più punti di vista, inseguito la verità, smascherato la corruzione, divulgato cultura letteraria e storica attraverso testi ricchi di riferimenti, infine, hanno avuto il coraggio e la presunzione di dire qualcosa su ciò che era accaduto, stava accadendo e prefigurando un futuro molto vicino a quello che stiamo vivendo.

Ogni volta che uno di questi illustri personaggi del cinema, ma della cultura in senso lato, ci lasciano, dobbiamo superare la commemorazione momentanea, ma renderci conto che stiamo perdendo persone reali che hanno scritto con una penna nuova. Il cinema appena passato deve avere il giusto peso nella nostra formazione, non può restare solo nei commenti dei critici o di chi ricorda vagamente, perché questo rappresenta un limite per la quantità di arte che stiamo lasciando scomparire, e per noi.

Francesco Rosi - I Magliari

Francesco Rosi – I Magliari

Francesco Rosi è solo un altro tra i tanti che ha contraddistinto un momento storico di estrema produttività, tutti accomunati (produttori, sceneggiatori, registi, attori e critica) dalla volontà di lasciare un segno, di costruire un percorso fatto di tappe concrete e autentiche. Lo spettatore rappresentava il primo obiettivo di questi autori. Neanche in quegli anni è stato subito capito questo cinema cambiato, e oggi è solo menzionato come termine di paragone, verso cui spesso si prova una finta riverenza. Se vogliamo comprendere davvero cosa è cambiato in quegli anni e perché oggi non c’è la continuità, allora dobbiamo guardare quei film, incontrare tutti questi autori del reale e attendere che il cinema ritorni a mettere le mani sulla realtà, sulla nostra vita.