30 Novembre 2015 - 12:00

Giovanni Palatucci: intervista al postulatore mons. Zuncheddu

Giovanni Palatucci

Sabato sera, al Centro Sociale di Salerno, si è tenuto il Premio Nazionale Giovanni Palatucci, In questa occasione abbiamo avuto modo di intervistare Mons. Gianfranco Zuncheddu, postulatore della causa di beatificazione di Giovanni Palatucci

[ads1]Sabato scorso, al Centro Sociale di Salerno, si è tenuto il Premio Nazionale Giovanni Palatucci, serata di celebrazione e memoria con la regia di Loredana Mutalipassi, promossa dalla Prof.ssa Miriana Tramontina, Presidente del CEPIS (Centro Europeo per la Pace, l’Infanzia e lo Sviluppo). In questa occasione abbiamo avuto modo di intervistare Mons. Gianfranco Zuncheddu, postulatore della causa di beatificazione di Giovanni Palatucci

 

Monsignore, lei è postulatore della causa di Canonizzazione del dottor Giovanni Palatucci, uno degli ultimi Questori di Fiume italiana.
Il giornale per cui scrivo si rivolge principalmente ai giovani e mi piacerebbe cominciare con questa domanda: «Cosa direbbe Giovanni Palatucci ai giovani d’oggi?»

«Palatucci direbbe ai giovani cristiani d’oggi di non perdere il senso della propria vocazione come chiamati ad amare Dio servendolo nei fratelli, anche mettendo a repentaglio la propria vita, se è il caso, per salvare gli altri.
La sua vita si può riassumere così: a somiglianza del Martire Divino [Gesù, n.d.a.] che ha dato tutto Sé stesso per noi, Giovanni Palatucci ha amato il suo prossimo a prescindere dalla fede o convinzione politica, dall’orientamento sessuale, dall’etnia, pur sapendo che un giorno o l’altro l’avrebbero caricato sul treno per deportarlo come tutti gli altri nel campo di sterminio di Dachau».

Giovanni Palatucci

A sinistra Miriana Tramontina, a destra Mons. Zuncheddu

Palatucci da uomo di fede ha combattuto con la Fede ma ha difeso principi che oggi definiremmo laici, seppur peculiarmente cristiani, riconoscendo nell’altro tutta la preziosità e l’unicità dell’essere umano.

«Chiunque era oggetto della sua Carità, principalmente lo sono state quelle persone destinate ai forni crematori e ai lager: perseguitati politici, ebrei. Difatti ha anteposto la salvezza di quelle persone – oggi ne contiamo migliaia – alla sua stessa esistenza. Per questo motivo fu ristretto nel carcere Coroneo di Trieste e da lì caricato su un vagone piombato che si è aperto solo una volta giunto a Dachau, nonostante qualcuno abbia sostenuto che il reato imputatogli fosse stato il collaborazionismo col nemico».

Testimone di Cristo e in quanto tale martire di quei principi laici.

«Ha dato la vita per l’altro nel quale vedeva un proprio simile e da cristiano ha visto un proprio fratello. Come Cristo, ha dato la vita per gli altri. Anche nel Lager: aiutava anche lì. Aiutava quanti dovevano andare all’Appellplatz perché fossero puntuali all’appello e non fossero puniti.
Confidò ad un suo compagno di prigionia: “l’unica cosa che mi dispiace è che mi abbiamo portato via dal mio lavoro, impedendomi così di essere disponibile per la salvezza di molti fratelli”».

Questo richiama una citazione di Giovanni Palatucci; lui scrive: «I miei superiori sanno che, grazie a Dio, sono diverso da loro. Siccome lo so anche io, i rapporti sono formali, ma non cordiali. Non è a loro che chiedo soddisfazioni, ma al mio lavoro, che me ne dà molte».
Ricordiamo che Palatucci aveva la possibilità di affermarsi come avvocato ma scelse di entrare come funzionario nella Polizia, ritenendo che in questo modo potesse meglio aiutare le persone e conseguire il bene comune: preferì il servizio al guadagno.

«Voleva stare vicino alla gente: in un’intervista fatta a Genova, in cui diceva queste cose, spiegava che non voleva stare dietro la scrivania. Ha scelto di servire lo Stato. Da Genova è stato catapultato a Fiume e lì fu, provvidenzialmente, responsabile dell’ufficio stranieri.
A Fiume, Palatucci dimostrerà di essere servo puntuale dello Stato, ma quando gli si presentò l’occasione di salvare il proprio simile fu sostenuto solo dalla Fede nel Maestro Divino, nel dare la vita per gli altri».

La Chiesa si è riunita in un Convegno a Firenze, dal tema “In Gesù Cristo il nuovo umanesimo”. Ecco, Palatucci pare incarnare questo nuovo umanesimo: la persona che raggiunge l’apice della relazionalità vivendo una fraternità fattiva; persona che si fa sostegno e riparo all’altro. Insomma, un cireneo.

«Pienamente. Già dalla scrivania di Genova e così da quella di Fiume. Però quando si tratta di salvare gli altri, se ne va a Fiume con Feliciana Tremari  – allora direttrice dell’ONMI e zia della Prof.ssa Miriana Tramontina, presidente del CEPIS Salerno.
Feliciana Tremari, all’epoca ufficiale fascista, che però aveva capito la vocazione di Palatucci – la vocazione al dono di sé, vocazione ad essere per gli altri – e volle condividerla: quando ci si riconosce in questo senso, tutto il resto perde di significato, il resto è posposto e ci si dona completamente.
A questo punto, l’essere cristiano diventa preminente ad ogni altro status, e il servizio all’essere umano, il servizio alla persona (chiunque essa sia) sorpassa anche il servizio allo Stato: insieme con Feliciana Tremari, andavano a casa degli ebrei, a casa di persone che rischiavano, di lì a poco, di subire la deportazione».

sonno ragione

La nostra cultura è figlia dell’Illuminismo ed è celebre il motto “Il sonno della ragione genera mostri”. Eppure, di fronte alle aberrazioni della ragione – penso alla lucidità scientifica di tante ideologie, come nazismo e comunismo – ci si domanda, retoricamente, cosa generi il sonno del cuore.

A questo punto vorrei condividere con voi un’impressione.
La frase di una nota canzone recita “il cuore è solo un muscolo impazzito” e mi ha molto colpito imbattermi, invece, in questa frase di Giovanni Palatucci: “Vogliono farci credere che il cuore sia solo un muscolo e ci vogliono impedire di fare quello che il cuore e la nostra religione ci dettano”. 
Anteporre cuore e ragione (sono specifico su questo: non solo il cuore, non solo la ragione; non solo la fede ma tutta la propria umanità) alle leggi ingiuste, innaturali: sto pensando alle leggi razziste, le leggi razziali e mi viene da pensare ad Antigone…

«Giovanni Palatucci, con la sua vita, ha voluto anteporre l’esempio del Maestro Divino [Gesù, n.d.a.] a tutto ciò che esula dal Vangelo ovvero il suo insegnamento ad amare. Per Cristo amare è dare la vita per gli altri e Palatucci aveva sempre a mente questa lezione: sapeva che un giorno o l’altro l’avrebbero tradito… però non si è mica ritirato!
La sig.ra Feliciana Tremari, delegata dell’O.N.M.I a Fiume, era come lui: si portavano nelle case degli ebrei, magari per affidare una famiglia ad amici e portarli al confine in Svizzera.
Quindi, il questore posponeva quello che lo Stato aveva imposto senza tuttavia mai tradirlo: come cristiano non poteva lasciar morire quella gente!

C’è una citazione [dal Talmud] che dice: « Chi salva una vita, salva il mondo intero ». Lui è per gli ebrei giusto tra le nazioni. Il termine designa quanti hanno salvato la vita anche di un solo ebreo.
Giovanni Palatucci ha salvato tanti ebrei, non solo quanti erano originari di quei luoghi ma anche quanti confluivano da tutta Europa cercando di sfuggire alle persecuzioni trovando in Fiume un corridoio per salvarsi: in questo corridoio lui era una porta aperta, lavorando in Questura; li mandava in Israele, nel Corno d’Africa, a Campagna (Salerno) dove poteva contare sull’aiuto dello zio Vescovo, il mons. Giuseppe Maria».

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