Hugo Cabret, il cinema nel cinema
Hugo Cabret di Martin Scorsese, stasera su Rai 2, è il regalo più bello del regista al cinema nel passaggio dall’analogico al digitale in un meraviglioso 3D
[ads2] Hugo Cabret – Siamo a Parigi negli anni ’30, Hugo è un bambino che vive e lavora nella stazione ferroviaria di Montparnasse, avendo sostituito, di nascosto, lo zio nel ruolo di tecnico orologiaio. Il film comincia con il suo tentativo di derubare da una bottega di un misterioso personaggio, dove sono accumulati oggetti meccanici. Lo scontro tra i due si risolve nella scoperta del negoziante di un taccuino con dei disegni, custodito gelosamente dal bambino; sfogliandolo viene evocata la tecnica del cartone animato.
La macchina del tempo, l’orologio, è un sistema complicato ma perfetto che attraversa tutto il film, il cui rumore esprime i minuti che scandiscono la durata. La durata personifica il cinema, in quanto spazio di tempo rappresentato, e quindi immortalato. Il cinema, nel suo strato chimico-fisico, si lascia impressionare da ciò che accade davanti all’obiettivo della macchina da presa (mdp); costruito o reale, ciò che accade ha una durata, una fisicità che si sedimenta sulla celluloide.
Martin Scorsese è tra gli autori più noti della New Hollywood, uno di quei registi che fanno un cinema di contenuti, ma che trascorrono il resto del tempo a comprendere il marchingegno inventato dai Lumière nel 1895, il cinematrografo; resta memorabile “Arrivée d’un train en gare à La Ciotat“, che impressionò a tal punto il pubblico primitivo da allontanarsi dallo schermo e addirittura uscire dalla sala. L’essenza del cinema era già stata intuita dai fratelli Lumière, in particolare gli effetti sul pubblico. In Hugo Cabret di Scorsese, il famoso arrivo del treno del cinema delle origini, è rievocato in due momenti distinti ma influenzati tra loro: il sogno/incubo di Hugo e il concretizzarsi di ciò che ha sognato. Il treno davvero sfonda “lo schermo”, prima nella sfera onirica e poi nella rappresentazione cinematografica del regista.
In Hugo Cabret sono tanti gli spunti di riflessione, data la ricchezza della scrittura, in cui sono stati stratificati diversi livelli di lettura. Il rapporto padre/figlio (che diventa il rapporto cinema analogico/cinema digitale – Georges Méliès/Martin Scorsese) rappresenta forse l’ossatura del racconto. Hugo cerca disperatamente di ricostruire l’automa che era stato cominciato dal padre, morto in un incendio. L’incendio si può liberamente interpretare come quello famoso del Bazar de la Charité nel maggio del 1896, ma anche riferirsi alle pellicole infiammabili in nitrato (che segnò la prima perdita di un modo di rappresentazione passando all’acetato e poi al poliestere). Questa libertà interpretativa diventa però man mano una conferma.
Il misterioso signore della bottega di giocattoli scopriamo essere, nell’affannosa ma anche avventurosa ricerca di Hugo aiutato dalla figlia adottiva del giocattolaio, uno dei padri del cinema: Georges Méliès. Intrappolato nei suoi ricordi e vittima della fine della rappresentazione primitiva del cinema; un mondo, costruito e pensato secondo metodi artigianali, trasformando la mdp in una macchina dei sogni, con cui riuscire a fare anche un viaggio nella luna (Le Voyage dans la Lune, 1902).
Spronati da un critico e studioso di cinema, convinto della morte del regista durante la Prima Guerra Mondiale, appassionato del mago Méliès, insieme ai due ragazzi lo incontra nuovamente nella sua casa, dove proietta l’unica bobina sopravvissuta.
Quest’incontro tra la compagna del giocattolaio, lo storico, i ragazzi e Georges rappresenta la svolta narrativa del film. Tutto il simbolismo finora costruito in funzione di un cinema tra storia e ricordi personali del creatore Scorsese, si semplifica e diventa un omaggio chiaro: alle origini, all’analogico, al cinema come luogo di sogni, come automa con un cuore da mettere in moto, come macchina che scolpisce il tempo.
Martin Scorsese è da sempre impegnato attivamente nella settima arte. Il tempo non è solo un’entità in cui iscrivere una storia e dei personaggi, un senso, una denuncia o un pezzo della realtà; il tempo per Scorsese è un’entità tangibile, che distrugge le pellicole, le consuma e annulla l’immaginario cinematografico in senso fisico. Il regista finanzia il restauro del film, lo cura e lo difende. In Hugo Cabret avremo l’occasione di guardare lo straordinario patrimonio cinematografico di Georges Méliès in una successione di fotogrammi che guardano al mondo analogico con nostalgia, e inaugurano il digitale come futuro con cui sperimentare. Scorsese infatti, interpreta il passato attraverso il nuovo, costruendo un 3D emozionante e perfetto.
Ecco perché i meccanismi rotti mi rendono triste, perché non possono fare quello che dovrebbero; forse come le persone. Se perdi il tuo scopo è come se fossi rotto
(Hugo Cabret)
Hugo Cabret di Martin Scorsese, USA 2012
con Asa Butterfield, Chloë Grace Moretz, Ben Kingsley, Christopher Lee, Sacha Baron Cohen e Jude Law
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