Hunters: Al Pacino va a caccia di nazisti per Prime Video
Nella nuova serie Prime Video, Hunters, il mitico Al Pacino guida un gruppo di ebrei alla riscossa. Teatro di tutto è la New York degli anni ’70
Come fare la guerra a Netflix? Questo è il dubbio che assilla ogni giorno tutti i servizi streaming del mondo, compreso un altro colosso come Prime Video. Negli ultimi tempi, quest’ultimo sta operando un rinnovo di catalogo davvero interessante, optando per prodotti brillanti e particolari che non trovano posto sul più commerciale catalogo “netflixiano”. Un chiaro esempio della selezione “ad hoc” delle serie TV del colosso commerciale è sicuramente la nuova arrivata, ovvero Hunters.
Certo, non stiamo parlando di un prodotto incredibilmente originale. Tant’è che la “non copiatura”, al giorno d’oggi, resta un tabù davvero difficile da scavalcare. Ma di una nuova serie sicuramente molto attuale, sebbene per larghi tratti risulti anacronistica o comunque al di fuori della “new age” cinematografica. Perché Hunters è prima di tutto un dramma/thriller ansiogeno, che getta più di un’ombra sull’attualità parlando di un periodo e di un argomento del passato che, ad oggi, più o meno tutti sottovalutano. L’ascesa nazista, fin dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, sembra non appartenere più alle nostre coscienze, ma un osservatore sociale fine sa benissimo che il problema è davvero serio, al giorno d’oggi.
Così David Weil, mente alla sua prima effettiva prova sullo schermo, crea un prodotto che non solo risulta urgente, ma non lascia sicuramente indifferenti. Malgrado tutte le critiche che stanno subissando la serie, il prodotto è davvero interessante e merita, per varie motivazioni. Una di esse è sicuramente la presenza di un colosso come Al Pacino nel cast. Ma andiamo con ordine.
La caccia è aperta!
In questa esclamazione si potrebbe riassumere la filosofia di Hunters. Ma sotto lo strato superficiale che sembra tranquillo da digerire, si nasconde molto di più. La storia ci introduce Jonah Heidelbaum (Logan Lerman), orfano 19enne di origine ebraica che vive in un sobborgo residenziale di New York e lavora in un negozio di fumetti, arrotondando come può con degli espedienti (tipo lo spaccio di marijuana).
Il suo mondo crolla letteralmente a causa dell’improvvisa morte per omicidio della sua unica parente, la nonna Ruth. Devastato, Jonah capisce che la polizia non si prodigherà più di tanto per il suo caso e si mette in testa di farsi giustizia da solo. Proprio in quel momento, si palesa Meyer Offerman (Al Pacino), ricco ebreo amico di sua nonna, che nasconde un segreto. Quest’ultimo è infatti a capo di una squadra di specialisti che hanno dedicato le proprie vite alla precisa missione di individuare, processare e giustiziare tutti gli esuli nazisti degli Stati Uniti.
I nazisti hanno come scopo quello della formazione di un Quarto Reich statunitense e di eliminare tutti gli ebrei (tra cui, per l’appunto, Ruth). Qui parte uno scontro ferocissimo tra “resistenza” e “nazisti“, che rende Hunters un continuo “rollercoaster”.
Il modello “tarantiniano”
Inutile cincischiare: David Weil mostra già dalle prime sequenze che la sua serie segue le righe del grottesco “tarantiniano“, alternandolo a momenti di riflessione. Ci ritroviamo dinanzi a dialoghi sopra le righe, personaggi esagerati e stravaganti, ma non per questo fuori dal contesto. Anzi, il pregio maggiore di Hunters sta tutto qui: nel saper ricostruire abilmente un’epoca “libertina”, aggiungendoci però quel tocco di critica sociale che si riflette anche sul presente. Tutto questo condito da puri tocchi exploitation/grindhouse, violenti e sanguinosi, che rendono il tutto molto meno pesante.
Il messaggio che Weil vuole dare può sembrare scontato, ma è urgente. Dotando il protagonista Jonah (un discreto Logan Lerman) di una coscienza critica e lucida, ci fa tastare con mano la deriva di una società sempre meno tollerante e pronta ad esplodere in atti di insensatezza. Attraverso la mostra della violenza, che in Hunters è tantissima, crea una sua de-mistificazione, risultando paradossalmente anche educativa.
Il comparto tecnico, inoltre, è davvero ottimo. La regia funziona, la fotografia è ben confezionata e in tinta con quanto si racconta, il montaggio è curato, nulla è lasciato al caso. La serie riesce a farci calare perfettamente in una realtà che non ci appartiene, non mancandoci di dare pugni allo stomaco soprattutto nelle sequenze “anni ’40“. Un’opera contemporaneamente cupa e luminosa, tesissima, che punta sulla potenza e ci riesce bene. In più, assistiamo ad un Al Pacino in ottima forma, sempre perfettamente in parte qualsiasi cosa faccia. Da vero trascinatore qual è.
Troppi cambi di registro
Il cast non è mai stato così in parte. Detto già di Pacino e Lerman, tutti fanno egregiamente la loro parte. Ci divertiamo a vedere Josh Radnor svestire i panni del romantico Ted Mosby e ricrearsi sotto la veste dello “spaccone“ Lonny Flash. Anche Dylan Baker, nei panni del villain Simpson, riesce a donare al contempo oscurità e risate, con una caratterizzazione “fumettosa”. D’altronde, però, Hunters non riesce a trovare un’anima precisa proprio per questi fattori.
Troppi cambi di registro, dal serioso allo scherzoso, e la serie fatica ad assumere una propria identità. La sceneggiatura prende qualche imbarcata di troppo, e ne risulta un prodotto né troppo scioccante né troppo divertente. Hunters diventa una montagna russa che alla lunga può distaccare lo spettatore e non invogliarlo al binge-watching, anche per via della durata forse eccessiva delle puntate.
Inoltre, forse anche per via del puntare su una prima stagione più d’impatto che d’approfondimento, non si sofferma troppo sull’esplorare le anime dei suoi personaggi. Gli unici a salvarsi e ad essere più “introspezionati” sono Pacino e Lerman. Ma c’è tempo per rimediare a questi errori, magari con una seconda stagione.
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